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Le mosse di un "impresario" da avanspettacolo

di Carmelo Alberti
  una scena dello spettacolo
Data di pubblicazione su web 04/03/2009  

 All’inizio dell’Impresario delle Smirne, rappresentato al Teatro Malibran di Venezia per conto degli Stabili del Veneto e di Catania e del 40° Festival della Biennale Teatro, Eros Pagni si trucca, standosene rivolto verso il pubblico e borbottando un motivetto, che un terzetto di musicisti riprende in contrappunto: è uno dei temi melodici di Nino Rota che il regista Luca De Fusco, con la collaborazione del musicista Antonio Di Pofi, utilizza per realizzare uno spettacolo sospinto entro la cornice del puro divertimento, sulla falsariga di un cabaret-musical-avanspettacolo degli anni Cinquanta.

 La scena di Antonio Fiorentino è scarna, gioca sullo schema metateatrale, evidenziando l’essenzialità di un teatro colorato dal rosso dei tendaggi, abitato da guitti intravisti davanti allo specchio nelle loro stanze-camerino, vestiti in un stile kitsch da Maurizio Millenotti. Come avviene sulla scena del varietà, i comici finiscono per raccontare ancora una volta la propria storia di artisti spiantati, avvezzi a vivere di espedienti, vanagloriosi e, insieme, disponibili a lavorare per pochi soldi. Così, mentre si sussurrano l’uno con l’altro, promettendo – come con il segreto di Pulcinella – di non dire niente a nessuno, il progetto del mercante turco Alì che vuol portare l’opera melodrammatica alle Smirne, si esaltano per meriti che non hanno e s’impuntano sulla distribuzione delle parti, per cui o primi o niente!

                                       

Una scena dello spettacolo
Una scena dello spettacolo

 

 La regia accompagna gli interpreti verso il piacere di mostrarsi, definendo per ciascuno un carattere prevedibile, che non oltrepassa la soglia dell’esibizione, salvo in alcuni passaggi immaginativi, sostenuti dalle musiche composte da Rota per i film felliniani, dalla Strada alla Dolce vita e a Otto e mezzo. L’utilizzo della classica passerella permette di sfoggiare le cantate e gli strip-tease delle sciantose, gli sketch dei buffi e altri numeri di vera abilità. Scelta lodevole, visto che ha conquistato il numeroso pubblico presente. In scena agisce una buona squadra di protagonisti, affiatati e estrosi: Eros Pagni elabora con maestria un Alì soggiogato dalla disinvoltura delle “primedonne”, ma sempre più confuso per l’incoerenza dell’impresa; Gaia Aprea dà sfogo ai suoi slanci canori per Lucrezia; Anita Bartolucci risulta una graffiante Tognina, cantatrice veneziana; Alvia Reale presenta un’invitante Annina bolognese; Max Malatesta recita un grasso e untuoso conte Lasca che si esprime romanesco. È davvero bravo Paolo Serra nei panni di Carluccio, qui trasformato macchietta napoletana; è più che esilarante l’ottimo Enzo Turrin, nel ruolo di Nibbio, mentre fa la parodia del balletto classico protendendosi, con tanto di tutù, nei quadri topici del Lago dei cigni.    Apprezzabili anche Piergiorgio Fasolo, Alberto Fasoli e Giovanna Mangiù.

Il testo base è quello di Carlo Goldoni, che s’affaccia sotto lo schema del gioco creativo, soprattutto nella orchestrata scena del terzo atto, accompagnata dalle pregevoli musiche composte da Rota per l’edizione delle Smirne di Luchino Visconti nel 1957, conservate nell’Archivio “Rota” della Fondazione Cini. 







L'impresario delle Smirne
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Gaia Aprea
Gaia Aprea

 

 
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