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Elaborazione della catastrofe morale

di Carmelo Alberti
  una scena dello spettacolo
Data di pubblicazione su web 05/03/2009  

Tra le proposte del 40° Festival del Teatro “Mediterraneo” ecco spuntare un capolavoro: è Morso di luna nuova, “racconto per voci in tre stanze” di Erri De Luca, messo in scena con la maestria che gli è propria da Giancarlo Sepe, le scene e i costumi essenziali di Bruno Buonincontri, le musiche appropriate di Harmonia Team e Davide Mastrogiovanni, le luci nitide di Rocco Giordano, recitato in maniera esemplare dalla compagine degli Ipocriti (Marco De Notaris, Giovanni Esposito, Antonio Marfella, Luna Romani, Giampiero Schiano, Antonio Spadaro, Simone Spirito, Caterina Sylos Labini).

I lunghi applausi dei tantissimi spettatori presenti al Teatro Fondamenta Nuove di Venezia hanno sancito lo slancio creativo del team napoletano. A dispetto dei saccenti che in questi giorni mettono in dubbio la funzione culturale del teatro, lo spettacolo afferma senza enfasi alcuna la valenza politica e civile delle idee e rende evidente come Napoli sia rimasto uno dei pochi ambiti di elaborazione della catastrofe morale e della crisi strutturale, in cui è precipitato il nostro paese. Otto personaggi, che abitano nel cuore della città partenopea, corrono a chiudersi in un asfissiante rifugio antiaereo durante i bombardamenti. La vicenda si svolge, infatti, nell’estate 1943, durante gli ultimi giorni della feroce occupazione tedesca. Si scorge uno spaccato significativo del ventre di Napoli, di un’umanità stritolata dall’angoscia per una guerra senza fine; e affiora una comunità di individui impauriti in cerca di conforto e fiducia dinanzi alla morte e alla distruzione; soprattutto i giovani sognano di tuffarsi nel mare di Mergellina e di dare fiato alla loro verde età. Nel cupo ricovero, mentre esplodono senza tregua le bombe, si pensa con preoccupazione al mondo soprastante, si rifà un’esilarante farsa dei fratelli De Rege, si storpiano frasi in un italiano considerato una lingua straniera.

È proprio a partire dalla freschezza della parlata napoletana, mista alla superstizione – qui espressa da un canarino in gabbia che avverte in anticipo il padrone dell’arrivo degli aerei – e al perpetuarsi dello stato di sconforto, che Sepe definisce la circolarità di una rappresentazione oratoriale. Fa muovere gli attori, con raro rigore, su assi spaziali definiti, immergendoli nella luce livida del sotterraneo e sospingendoli sull’onda di un avvolgente valzer. Emerge allora tra l’angoscia e il fatalismo il germe del riscatto contro i nazisti, che porterà alle “cinque giornate di Napoli”, sotto il segno di una voglia della dignità che unisce uomini di fronti politici diversi.





Morso di luna nuova
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