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Le convenienze convengono

di Paolo Patrizi
  La compagnia alla fine dello spettacolo
Data di pubblicazione su web 27/02/2009  
Convenienze, nel gergo del mondo dell’opera, stava per convenzioni: non nell’accezione negativa che oggi si dà a questa parola, ma tenendo presente che si tratta di convenzioni – per l’appunto – “convenienti”, alle esigenze dell’artista come alle aspettative del pubblico. Deroghe strutturali e innovazioni drammaturgiche, in quella sorta di contratto non scritto che era il lessico melodrammatico, potevano costar care: Rossini e Donizetti sconteranno con il fiasco o l’indifferenza certi loro azzardi “progressisti”, e ancora un secolo dopo Puccini subirà uno scacco bruciante alla “prima” della Butterfly, opera troppo poco operistica per un’epoca che, in realtà, stava preludendo alla morte del melodramma. Costretto nelle griglie imposte da primedonne intoccabili e impresari timorosi del nuovo, Donizetti si prese almeno la soddisfazione della parodia: tra le tante opere buffe appartenenti al genere del teatro nel teatro Le convenienze ed inconvenienze teatrali resta la più esilarante e la più attuale. Al primadonnismo dei soprani si aggiunge oggi quello dei direttori e dei registi, l’impresario potrà essere sostituito dallo sponsor o, peggio, dal politico di turno, ma il bersaglio resta ben riconoscibile (conditio sine qua non per la sopravvivenza di qualsiasi parodia) e i meccanismi comici innescati saranno anche prevedibili, ma mantengono intatto il loro divertimento. Anzi: il fatto che si tratti di un’opera “aperta” (una serie di siparietti manipolabili nella struttura e nella successione dei numeri, dove la scelta filologicamente più sensata è quella di rinunciare a una versione definitiva) attribuisce oggi alle Convenienze quasi una patente postmoderna.

Donata D'Annunzio Lombardi in una scena

Replicando la formula dell’anno scorso, il Teatro della Fortuna di Fano – cittadina che trova nel carnevale una delle sue radici più importanti – è dunque tornato a proporre un Donizetti buffo la sera di sabato grasso (nel 2008 toccò al Don Gregorio), facendo seguire la recita da un ballo mascherato in platea: un divertimento e, insieme, una civilissima forma di recupero d’una tradizione antica. Inoltre, proprio per la loro natura di farsa, queste Convenienze raggiungono un esito più convincente di quello, comunque apprezzabile, del Don Gregorio, dove il viraggio in pochade – logico, in un contesto carnascialesco – penalizzava un po’ un lavoro che, alle origini, sarebbe invece satirico (si tratta della farsesca riscrittura napoletana del ben più urticante L’ajo nell’imbarazzo). Qui tutto risulta più naturale, più scatenato e, in definitiva, ancor più divertente.

Paolo Bordogna in una scena
 
Senza declassare il libretto a canovaccio, ma concedendosi qualche accomodamento nei dialoghi, la regia di Roberto Recchia gioca le carte del doppio senso, del travestitismo e della battutaccia da avanspettacolo: e lo fa non solo senza complessi culturali, ma con molto buon gusto. C’è quella leggerezza che consente di mettersi ai confini della farsaccia restando nei limiti della farsa, c’è quel tocco vagamente surreale che dà garbo alla gag più corriva; e la licenza più birichina – ne sia consapevole o meno il regista – Recchia la prende in prestito da Puccini. Quando Mamma Agata mostra il proprio analfabetismo musicale tirando a indovinare su quali siano le note scritte, il maestro la corregge non con il «fa» previsto dal libretto, ma con un boccaccesco «la do» che scandalizza la megera canterina. Il pubblico ride, né si può dargli torto; ma converrà ricordare che nella Tosca, quando la protagonista mostra di cedere alla libidine del suo ricattatore, Puccini descrive l’assenso non a parole, ma con la musica. Davanti all’infoiato «Ebbene?» di Scarpia, Tosca tace e per lei parla l’orchestra: un intervallo discendente di sesta, e le due note sono un la e un do. Sconfessando l’assioma per cui se a teatro gli artisti si divertono il pubblico ride meno, a Fano tutti se la sono spassata molto, in platea come in palcoscenico. Si è certo divertito il protagonista Paolo Bordogna nei grotteschi panni femminili di Mamma Agata, epitome di tutte le mamme megere che brigano per far diventare la figlia una starlet e, alla fine, cantatrice anche lei. La sua è un’interpretazione molto divertente: che sia vocalmente probante è più dubbio. Nei recitativi l’accento di Bordogna appare pressoché infallibile, la coloratura è invece tutt’altro che fluida, ma al di là dei pregi e dei difetti si scontrano, davanti alla sua Mamma Agata, due diverse concezioni del ruolo.

Paolo Bordogna e Matteo Corbetta in una scena
 
Difficilmente convincerà quanti ritengono, in linea con una grande tradizione ormai conclusa (Capecchi, Colzani, Taddei), che la comicità del personaggio sia veicolata dalla virilità scenico-vocale dell’interprete en travesti: anzi, il più divertente dei tre è stato Colzani proprio perché, al contrario dei due colleghi, estraneo al genere comico e associato a ruoli trucemente virili come Barnaba e Rance. Tuttavia, dopo di allora, si sono fatti strada alcuni “buffi” di minor sostanziosità vocale, che hanno amato molto giocare – anche in modo spiritoso – con il transgender. Con Bordogna siamo alla seconda generazione del nuovo corso: e che ad applaudirlo in sala ci fosse Bruno Praticò, che di questi “nuovi” fu indubbiamente il primo, assume il sapore d’un passaggio del testimone. In questa prospettiva Bordogna potrà esser giudicato una Mamma Agata esemplare, anche se il momento più esilarante – il parodistico innesto delle danze della Favorita – quasi gli ritorce contro: sulle punte è talmente bravo da far credere che abbia sbagliato mestiere e che il suo vero talento sia da ballerino, non da cantante. La scalcagnata compagnia portata in scena da Donizetti in quest’opera richiede poi – è un topos comico reiterato, nelle Convenienze – delle voci che cantino “male”. Ma, a meno che non si voglia prendere la scorciatoia e cantar male davvero, parodiare un tenore cane o un soprano trombonesco richiede vocalità ferrata e alto virtuosismo. Sotto quest’aspetto Danilo Formaggia, con le sue stecche perfettamente “appoggiate” e il trascolorare dai disastri alle prodezze canore, è insieme il più tecnico e il più commediante del gruppo; ma anche Donata D’Annunzio Lombardi affronta con spirito e sicurezza le sue incombenze di primadonna di dubbia lega, ritagliandosi in sottofinale, come aria di parata, un «Bel raggio lusinghier» forse un po’ troppo cauto, ma che farebbe onore anche ad una Semiramide “vera”. Per Enrico Marabelli, invece, realtà e finzione si confondono pericolosamente e non è semplicissimo, nella sua prova, tracciare una linea di confine tra parodia del malcanto ed effettive magagne vocali.

Una scena dello spettacolo
 
Gli altri si fanno onore: Stefania Donzelli incarna con spirito l’eterna comprimaria dimessa e scimmiesca, succube di mammà e angariata dalla primadonna, ma che poi lascia tutti a bocca aperta improvvisando i picchettati sopracuti della Zauberflöte; Domenico Colaianni, nei panni del maestro esasperato, recita e accenta con gran classe; Anna Caterina Cornacchini sfoggia duttilità scenica e vocale nei fugaci interventi dell’evirato cantore (i castrati, quando Le convenienze videro la luce, erano prossimi a scomparire come voci operistiche); Antonio Marani (lo scalcinato librettista) e Daniele Girometti (il terrorizzato impresario) si uniscono con letizia al fuoco d’artificio generale. Tutti sono ben sostenuti, e fortemente assecondati, dalla bacchetta di Vito Clemente, affidabile nocchiero della giovane e professionalissima Orchestra Sinfonica Rossini. Si esce di teatro non solo con la sensazione di aver passato – ballo incluso – una piacevole serata: in un’Italia sempre più degradata e irresponsabile operazioni così sono un’oasi d’intelligenza.
Le convenienze e inconvenienze teatrali
Dramma giocoso in due atti


cast cast & credits

Donata D'Annunzio Lombardi
in una scena
 
Paolo Bordogna
in una scena




 
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