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Dialogo dei massimi sanremi

di Roberto Fedi
 
Data di pubblicazione su web 20/02/2009  

Fedeli all’impegno preso con i nostri lettori, anche ieri sera abbiamo saltato Sancomesichiama, insomma quel santo lì. Eravamo in un ristorante carino: bella cena, amici simpatici, niente televisione. Una goduria.

Ma i giornali li leggiamo, mica siamo nell’età della pietra. E così oggi veniamo a sapere, a parte le varie polemiche che non ci interessano un fico secco (il televoto, ad esempio: dove si scopre che c’è un mare di gente che telefona per votare i cantanti, e paga anche cara ogni telefonata – e già che ci sono perché non si danno anche una mazzata sulle palle come l’intramontabile Tafazzi?), veniamo a sapere dicevamo che è intercorso un dialogo altissimo nientemeno che fra il  Servizio d’Informazione Religioso dei Vescovi Italiani e il Bon-per-luis. E su cosa, buon dio? – visto che siamo in argomento.

Dunque. I vescovi hanno criticato Sancomesichiama. Questa poi è bella. E perché? Forse perché pensando, visto il nome, che si trattasse di una delle tante Vite dei santi, hanno acceso la Tv e invece c’era una con le cosce fuori?

No. Per il fatto che, citiamo testualmente, si tratta di «un Festival che vuole essere specchio della società italiana ma che è destinato a dare di essa la sua immagine più stereotipata e banale, quella falsa, confezionata ogni giorno dalla tv». E poi, perché «stona con la realtà della nostra Italia, dove le famiglie iniziano a fare i conti, anche in maniera dura, con la crisi economica» (riprendiamo da “La Stampa” del 20 febbraio).

Ohibò. Che tempestività, ragazzi: questi si sono accorti ora che la Tv dà un’immagine banale della realtà. E che tutti quei soldoni e quei lustrini «stonano» (si noti il verbo, che se non fosse un lapsus freudiano sarebbe anche carino, riferito al Festivalone) con la realtà del paese, dove di solito la gente non lavora per due miliardi alla settimana.

Fin qui, capirai che novità  (anche i vestiti del papa e gli ori vaticani stonano con la realtà economica italiana, se è per quello). Ma il bello è che il Bon-per-luis, ormai in volo sulle miserie italiche e padrone della ribalta, non l’ha presa bene e ha risposto. Ha definito bontà sua «abbastanza censorio» il giudizio,  aggiungendo che «l’Italia è un bel posto, dove ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero a favore di cose importanti, come la vita, e di cose leggere, come la canzone. Purché si rispetti la libertà di decisione dell’altro, sia riguardo alla vita, sia riguardo alla canzone» (stessa fonte di cui sopra).

Ohibò-bis. Quasi come Cavour. Come dire, insomma, libera Chiesa in libera Canzone, o giù di lì. Ora, tutto il pistolotto bon-per-luisiano è di una ovvietà che pareggia quella dei vescovi e anzi peggio: perché approfitta malamente di una questione seria come la libertà di decisione sulla vita affiancandola alla ‘libertà di canzone’. Vergogna. Ma su una cosa ha ragione: l’incipit.

«L’Italia è un bel posto». Specialmente se  uno si chiama, appunto, Bon-per-luis. E dove lo troverebbe un altro così?

PS. Alla Rai tutti in sollucchero: gli ascolti ‘tengono’ (ieri intorno ai 12 milioni e poco più). Ma né Del Noce né l’Alfiere della Laicità della Canzone dicono che, rispetto al 2005 (quando questo Cavour de noantri condusse la stessa baracconata), è un disastro: in quattro anni si sono persi quasi tre milioni di spettatori e 10 punti di share. L’Italia, insomma, è un bel posto: ma nel 2005 era meglio.











 
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