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Dubbi e sospetti

di Mariagiovanna Grifi
  Stefano Accorsi e Lucilla Morlacchi
Data di pubblicazione su web 21/01/2009  

Negli ultimi tempi si è imposta all’attenzione comune una nuova drammaturgia, di origine inglese e americana sviluppatasi anche in Italia negli ultimi anni, che fa proprie la semplicità e l’immediatezza della comunicazione cinematografica. Molti hanno utilizzato il termine “scrittura cinematografica” per definirla in senso negativo designando in questi autori una mancanza di cultura teatrale, soprattutto a causa della loro formazione ed esperienza filmica. Più che di impoverimento della teatralità si tratta di una sua modernizzazione e di un’inevitabile influenza che su essa ha esercitato il cinema, media che attira maggiormente il pubblico. A tale fenomeno possiamo collegare lo sceneggiatore e regista americano John Patrick Shanley, vincitore nel 1988 dell’Oscar per la migliore sceneggiatura originale per il film Stregata dalla luna e ricordato anche per Alive diretto da Frank Marshall nel 1993. Nella sua opera teatrale Il Dubbio ritroviamo l’uso di un linguaggio molto veloce e diretto, tipico del grande schermo, inserito in una struttura teatrale ben costruita. Dal testo per la scena, vincitore del Premio Pulitzer 2005, l’autore ha tratto e diretto l’omonimo film che arriverà nelle sale italiane alla fine di gennaio 2009 interpretato da Meryl Streep.

Nella versione teatrale italiana, tradotta da Flavia Tolnay e adattata da Margaret Mazzantini, la dinamicità del lavoro è data anche dall’accurata azione registica di Sergio Castellitto, altro artista maggiormente conosciuto in ambito filmico ma proveniente da un background teatrale iniziato con l’Accademia d’Arte Drammatica romana, il quale dimostra di mettere a frutto la sua esperienza in entrambi gli ambiti spettacolari e di saperne conciliare i codici. Ed infatti la messinscena, minimalista, semplice e lineare, si rivela fluida anche nei vari cambi di scena a vista, realizzati in penombra e movimentati dal passaggio di attori/comparse, servi di scena che modificano i pochi elementi scenografici (di Antonella Conte) sulle note bellissime delle musiche di Bob Dylan.

Nel 1964 un giovane prete insegnante progressista viene mal visto dalla direttrice della scuola cattolica di Brooklyn, anziana suora rigida e bigotta, poco avvezza ad un rapporto familiare con gli studenti e contraria ai sermoni in cui vengono affrontati temi troppo “umani” come l’insicurezza e l’intolleranza. È questa avversione per il nuovo arrivato a condurla ad una indagine senza tregua e a formulare contro di lui un’accusa, seppur solo ipotizzata, di abuso sessuale nei confronti dell’unico studente nero, elemento più debole della classe. Ad alimentare il sospetto i dubbi di un’altra insegnante, suora ingenua e sensibile, ed i timori della madre del ragazzino propensa a non indagare troppo nella vicenda, preoccupata per le conseguenze che questa possa avere sul figlio. Al di là della verità, le certezze sembrano derivare da pregiudizi, da posizioni ideologiche diverse che distanziano i personaggi e non permettono loro di andare veramente a fondo e superare quel dubbio che fa vacillare le loro coscienze. Ciò accade perché «non ci sono suore o preti ma uomini che fanno i preti e donne che fanno le suore», come afferma Castellitto, e che sono inevitabilmente colti da incertezze e paure.

Verità, dubbio, fede, pedofilia: temi duri e pesanti, alleggeriti dall’agilità della scrittura, dalla leggerezza della scelta registica e dall’ottima prestazione degli attori. Un riconoscimento va a Lucilla Morlacchi nei panni della madre superiora, donna austera e intransigente, interpretata con molta verve e con una vena ironica che ce la rende addirittura simpatica. Accanto a lei Stefano Accorsi, idolo delle giovani generazioni dopo il successo di film come Radiofreccia, L’ultimo bacio e Le fate ignoranti, ritornato al teatro dopo circa dieci anni e ispirato proprio dalla versione francese de Il Dubbio diretta da Roman Polanski. Una scelta di successo quella dell’attore cinematografico che rivela un’eccellente presenza scenica e dimestichezza anche sul palco, pur conservando nella recitazione, più impostata e dimentica del suo accento bolognese, quella naturalezza che lo contraddistingue. Degne di nota anche Alice Bachi, “suoretta” la cui delicatezza e spontaneità trasmette tenerezza, e Nadia Kibout, madre del ragazzino nero, modesta e timorosa nel suo lieve accento straniero.


 




Il Dubbio
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