Al Teatro San Ferdinando di Napoli è andata in scena ‘A Sciaveca (Premio Tondelli 2007), tragedia in versi in lingua flegrea del giovane drammaturgo Mimmo Borrelli, già vincitore nel 2005 del Premio Riccione e del Premio Gassman nel 2008 per ‘Nzularchia. La regia è di Davide Iodice. Una prima rappresentazione di ‘A Sciaveca era andata in scena, in forma di concerto per attore solo e percussionista, alla XXVIII edizione del Festival Benevento Città Spettacolo nel settembre 2007; una seconda azione teatrale si era svolta a bordo di una barca nelle acque del Lago dAverno nel Parco dei Campi Flegrei.
Una scena dello spettacolo
Al San Ferdinando si assiste alla rappresentazione simbolica di un mare in tempesta: Mimmo Borrelli canta una storia intricata e melensa fitta di sopraffazioni e violenze, miseria e infamie, una sorta di via crucis del protagonista stigmatizzato come Cristo nelle mani e sul costato. Il racconto si divide in dieci stazioni-pianti, metafore di una commedia umana, fatta di unumanità tribale, primitiva, sciatta come ‘a sciaveca, la rete da strascico melmosa e viscosa utilizzata per la pesca sotto costa. La storia è quella di tre fratelli, Tonino ‘u bbarbone (Massimo De Matteo), Peppe Scummetiello il prete (Angelo Laurino) e Cinqueseccie (Marco Palumbo), avvinghiati e prigionieri in una rete putrida di misfatti: dalluccisione fratricida di Tonino allo stupro della sua donna Angela (Floriana Cangiano), morta dando alla luce quel figlio generato dalla violenza. Una storia di uomini dove una sola donna, risorta in un delfino martoriato, simulerà attraverso un suono stridulo e un canto soave lamore e la violenza subita.
A sinistra: Massimo De Matteo
La storia già intricata nei fatti, diviene ancora più difficile e ardua da decifrare per la scelta linguistica operata dallautore, il dialetto flegreo, costruito e pervaso da locuzioni arcaiche fitte di metafore e allegorie. La lingua diviene un limite, allontana lo spettatore come in un vicolo cieco dove rimane imprigionato senza vie duscita. Solo la coinvolgente scelta registica riuscirà a condurre lo spettatore alla comprensione dei fatti, esemplificati da una sequenza di quadri. Iodice riesce a tirare la rete sul palcoscenico e rendere visibile lindicibile, attraverso la veemente fisicità dei corpi degli attori, il ritmo incalzante e la musicalità percussiva del canto. La barca più che la rete diviene il perno principale intorno al quale ruotano le storie, i personaggi e si agita il mare in tempesta. I personaggi, alla fine della pièce, calano giù la maschera, si lavano il volto con uno straccio bianco e restano immobili come il cielo pietrificato che li sovrasta.
Floriana Cangiano e Marco Palumbo in una scena
Ottima lesecuzione musicale dal vivo ad opera di Antonio della Ragione, Lorenzo Niego e Guido Sodo. Tra gli attori, oltre ad un convincente Massimo De Matteo, che col corpo riesce a trasmettere emozioni palpitanti, vanno ricordati per la loro forte presenza scenica Davide Compagnone (Pannocchione), Vincenzo Del Prete (Ven ‘i fuoco), Piergiuseppe Francione (Ciro Capalonga), Stefano Miglio (Giuvanne Suvariello), Michele Schiano di Cola (Settecape).
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