drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Taxi drivers (per Obama)

di Gianni Cicali
  Barak Obama
Data di pubblicazione su web 30/10/2008  

Quando, mesi fa, la stella di Barak Obama cominciava a luccicare sempre più splendente, agli incroci stradali di Washington DC, dopo importanti risultati nelle elezioni primarie, si potevano vedere decine di supporters del senatore agitare cartelli gridando lo slogan: "Yes we can". Fu un momento elettrizzante, e continua a essere un momento elettrizzante che fa tenere il fiato sospeso qualora si pensi all'incubo di ritrovarci non solo un repubblicano marcito come presidente, ma anche un pitbull con il rossetto, come ha 'amato' definirsi la strega dell'Alaska Palin (irresistibili le imitazioni del Saturday Night Show, guardate su YouTube per divertirvi e credere) alla Casa Bianca.

Dunque, dopo aver preso molti taxi e aver inzialmente cercato di capire quale fosse l'etnia più diffusa tra i tassisti di Washington DC e senza venirne a capo (molti eritrei, molti etiopi, ma molto di tutto, pochi bianchi, molti neri in definitiva), insieme a una mia amica e collega indiana (né io, né lei votiamo perché senza cittadinanza), una volta che dovevamo prendere due taxi in una sera (per andare e tornare da una cena solo in apparenza non formale) abbiamo chiesto, ex-abrupto, "Will you vote?" "Andrà a votare". E poi "Per chi voterà?". Dopo un iniziale imbarazzo da parte mia (è stata la mia amica di Delhi a cominciare, sfacciata), i tassisti hanno cominciato a rispondere con molto entusiasmo e a raccontarci la loro storia di 'voters', di elettori. Il primo ha risposto con sicurezza: “Sì vado a votare, e voterò Obama”; il secondo invece ha risposto che non andrà a votare perché il suo voto non conta nulla e il sistema elettorale americano non lo fa contare nulla, ma se avesse votato avrebbe votato Obama. La mia amica insisteva che doveva andare a votare e che ogni voto conta. Il tassista, un giovane eritreo, stava prendendo un Master: studiava di giorno, lavorava di notte e aveva famiglia con due bambini piccoli. Un uomo splendido. Qui molti fanno due o tre lavori, tornano all'università per prendere il BA o il Master e poi ottenere un posto migliore, perché, con tutti i difetti che si possono attribuire agli USA, ciò nonostante questo è un paese dove i titoli contano e aiutano a trovare lavori migliori e meglio pagati. 

Trovando la faccenda sempre più interessante, e meno irrispettosa di quanto credessi riguardo le domande da fare ai tassisti, ho continuato a porre le stesse domande ogni sera che prendevo un taxi (e ne prendo molti). Vivendo a Washington DC e ascoltando i tassisti che ho incontrato e, per così dire intervistato, Obama vincerebbe a mani basse, anche se al tempo stesso il non-voto rimane molto molto forte negli USA, sempre stando alle mie inattendibili statistiche. 

Washington, che alla morte di Martin Luther King fu sconvolta da violentissime rivolte razziali, è una città che in pochi anni è cambiata: da una delle più violente degli USA a una delle più sicure, beh.... relativamente sicure (non  bisogna andare in certi quartieri, come a Napoli d’altro canto, o a Milano). La maggioranza della popolazione è afro-americana e c'è una consistente middle-class afro-americana. Obama non dovrebbe temere molto qui, anche se a Washington per legge non si eleggono rappresentanti alle due camere, ma si vota solo per le presidenziali e le amministrative locali. Uno dei detti che si imparano subito è "Taxation Without Representation"  (Tassazione senza rappresentanza), slogan che a dire il vero risale alle colonie britanniche del XVIII secolo prima dell'indipendenza ("No Taxation Without Representation"): infatti a Washington si pagano tasse salate ma non si eleggono deputati o senatori, per dirla con terminologia italiana.

Assistendo mesi fa alla finale del campionato di Football (il cosiddetto Super Bowl), in uno sport bar (compiendo cioè una sorta di rito sociale), durante i commercials (una delle parti più attese), cioè le pubblicità (che costano un occhio della testa durante questa superfinale), fu trasmesso anche uno spot di Obama: metà e forse più del bar urlò in sostegno del senatore nero, ma eravamo ancora agli inizi, e le primarie erano ancora incerte. Ma piazzare lì lo spot sortì il suo effetto. Un mio amico, nero, voleva la Clinton, considerandola donna intelligentissima e preparatissima, ma ora si è 'rassegnato' per così dire a votare Obama.

Un altro tassista, portandomi all'aereoporto, mi ha fatto notare, cosa già risaputa, che Obama non è davvero nero secondo i canoni della appartenza etnica più "strict", rigida. La cosa mi ha sorpreso un poco e gli chiesi - e siamo arrivati ai giorni nostri, cioè all'apocalisse del sistema bancario finanziario, con in più una guerra che sta per arrivare al costo strabiliante di mille miliardi di dollari, quasi la metà del debito pubblico italiano - cosa pensasse della crisi e del disastro delle borse e delle banche. Il tassista si chiedeva che cosa avrebbe potuto fare Obama. Io buttai lì una frase sul New Deal di Roosevelt. Infine un tassista, nero pure lui, molto hip pop, con tanto di cappellino e jeans stralarghi (simpaticissimo, d’estate prendeva corsi a Georgetown University di para-law pagandoseli con dei prestiti studenteschi), dopo essere venuto a notte fonda in una località un poco scomoda, ha detto che forse avrebbe votato, e di sicuro avrebbe votato Obama.

Ultimamente c'è una pubblicità elettorale repubblicana molto ben azzeccata, dal loro punto di vista: una poltrona vuota, quella dello Studio Ovale della Casa Bianca e uno speaker che dice, più o meno, "un uomo che non ha mai affrontato una crisi non deve sedere su quella poltrona durante una crisi come quella che stiamo attraversando" . La speranza che la classe media creda in Obama e non voti per McCain è forte, ma sappiamo degli strani voltafaccia degli americani, del loro conservatorismo innato e della loro corta memoria: Reagan portò una ricchezza facile e artificiale durante la sua presidenza, tanto che Wall Street ebbe una delle più grandi crisi mai registrate cui seguì un tracollo economico. Clinton, con abili manovre sulla pubblica amministrazione, lasciò la presidenza con un avanzo di bilancio senza precedenti tutto andato in fumo sia dopo l'11 settembre, sia soprattutto per il costo delle guerre in Iraq e in Afghanistan. 

Insomma a pochi giorni dal voto, i miei sondaggi, del tutto inattendibili e per niente scientifici, paiono confortanti, ma non c'è da stare allegri. Certo è che molti dicono che ci vorrebbe un cambiamento, che Bush ha distrutto il paese (e fatto ammazzare centinaia di migliaia di persone: come faccia a dormire quello là lo sa solo Iddio)  e la reputazione americana nel mondo. Da qui l'Europa appare un'entità lontana, divisa e incosistente. 

 















 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013