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Una notte alla riscoperta della tradizione musicale salentina

di Giovanni Fornaro
  Mauro Pagani, maestro concertatore
Data di pubblicazione su web 25/09/2008  

Il Grande Rito si è ripetuto. È stato officiato ancora una volta davanti all’assemblea plenaria del popolo salentino il quale, a sua volta, non è rimasto inerte fruitore di concerti ma si è dislocato in maniera differenziata, sia nelle varie sagre di paese in cui si è riciclato il festival itinerante, sia davanti ai televisori con parenti e amici, pronto a osservare e valutare criticamente quel che resta della tradizione musicale salentina in ogni nuova edizione della Notte della Taranta. Quest’anno - anche l’anno scorso, per la verità -, il programma proposto sembra perseguire, in linea generale, non solo l’usuale obiettivo di organizzare una serie di appuntamenti culturali estivi per svariate decine di migliaia di persone, ma anche - finalmente! - di sperimentare nuovi linguaggi attraverso l’incontro e il confronto tra musicisti, repertori, pratiche performative provenienti da diverse aree geo-culturali, grazie all’azione di Mauro Pagani quale maestro concertatore.


 



 

La manifestazione principale del festival si è svolta a Melpignano, il 23 agosto scorso, suddivisa in due parti, per un totale di sette ore. La prima tranche, vetrina per esperienze neo-folk locali, non è stata che un’appendice dei concerti “a ragnatela” dei giorni precedenti: nulla di nuovo, ma corre l’obbligo di segnalare il solito, grande “patriarca” del canto di Terra d’Otranto, l’ottantenne Uccio Aloisi con il suo “gruppu”, seguito da un tenero ricordo in video, del regista Edoardo Winspeare, sul tamburellista e cantante Pino Zimba, scomparso alcuni mesi fa e a cui tutta la NdT è stata dedicata. Per la seconda parte, Pagani ha realizzato un programma “forte”, con una sostanziale coerenza stilistica nella lunga suite di trentadue brani in cui musica tradizionale, declinazioni folk contemporanee, inserti rock-progressive, echi balcanici e mediorientali hanno interagito, spesso con efficacia.

Il maestro concertatore ha impiegato frequentemente, in questa prospettiva, ciò che egli stesso definisce come inserti “c”: cicli strumentali di separazione fra moduli diversi, all’interno di una struttura nota e definita - in questo caso, le espressioni musicali di tradizione orale del Salento - fornendo così, negli ascoltatori, la sensazione di un efficace mix interculturale. Rispetto alle tre edizioni guidate da Ambrogio Sparagna, si è confermata una ridotta presenza degli strumenti a mantice a favore della sezione archi - segnalo, sotto questo profilo, Redi Hasa al violoncello e Roberta Mazzotta al violino -, per la quale il maestro concertatore ha disposto un assetto formale raffinato, in parte mutuando timbri e profili armonico-ritmici dal repertorio delle orchestre di musica araba classica, ad esempio nell'Acqua de la funtana e, più coerentemente, in Yara, di e con i Radiodervish, band italo-palestinese la cui presenza in area salentina costituisce una ripetuta e feconda esperienza. Molto bravo è apparso anche il batterista Antonio Marra, severamente e proficuamente impegnato per la lunga serata e con tutti gli artisti presenti.

A proporre brani ricollegabili alla tradizione musicale salentina si sono succeduti sul palco molti artisti, locali e non, con qualche utile interplay. Cito fra questi: il virtuoso del mandolino Mimmo Epifani; i menzionati Radiodervish; la cantante maliana Rokia Traorè - intensa sia nell’interpretare un suo brano, Tounka, che nell’utilizzare il locale dialetto ellenofono in Aremu, accompagnata dal fisarmonicista francese Richard Galliano. Quest’ultimo ha mostrato straordinarie capacità compositive e performative, presentando una Petite suite française, in cui le sonorità del quartetto d’archi esaltavano il virtuosismo della fisarmonica, grazie a una finissima tessitura: sarebbe interessante vedere Galliano impegnato a rivitalizzare un repertorio, come quello folk salentino, non molto vasto e articolato, vista l’estrema povertà a cui, in tempi moderni, si è ridotto il modulo melodico-armonico della pizzica (tonica-dominante). Il vero delirio pop-rock-dance si è però raggiunto con l’arrivo degli “energici” Après la Classe e soprattutto di Caparezza, il rapper molfettese che riesce a coniugare una spensierata “forza d’urto” adolescenziale con i modi della denuncia sociale, come non succedeva forse dall’epoca del Ragazzo della via Gluck. La sua Vieni a ballare in Puglia - accolta con un boato dai centomila presenti - è ormai considerata il nuovo, sarcastico inno di questa regione, che affascina con i suoi paesaggi e distrugge con i suoi molteplici inquinamenti, sfruttamenti, morti bianche, lavoro nero...

Uccio Aloisi
Uccio Aloisi



Dopo i Sud Sound System con l’ultimo e trascinante singolo, Dammene ancora, Pagani ha presentato la rielaborazione di uno dei testi più noti del folklore musicale locale: Santu Paulu. L’attenta ed elegante scrittura per archi colloca questa versione tra le più fresche ed interessanti mai realizzate, pur mantenendo la forza irrefrenabile del sostrato tradizionale, grazie anche alla interpolazione con È festa, uno dei brani più noti della P.F.M., fonte di emozioni in quanti, nel pubblico e fra gli addetti ai lavori, hanno vissuto da ragazzi gli anni più fecondi del progressive rock italiano. La Notte sarebbe potuta finire qui, con una degnissima sintesi fra una storica esperienza popular e un brano del folk salentino fortemente rivestito di valori identitari d’area. Il “concertone”, invece, prevedeva ancora due brani, di cui il primo, fuori programma, era presentato da Vinicio Capossela che, con il suo Il ballo di San Vito (del 1996), descriveva una danza frenetica il cui riferimento devozionale non è ignoto da queste parti, ove infatti sono attestate, nel passato, pratiche e riti di possessione ricollegabili a santi guaritori, come San Paolo, San Vito e San Donato.

Capossela si presenta, teatralmente, con cappello a cilindro e vestito di una pelliccia del tipo dei mamuthones sardi e, come questi, scuote sonoramente campane e sonagli, con l’orchestra e il tamburello in primo piano a sottolineare la saturazione acustica della performance, vibrante e intimamente sentita, composta e disperata. Il brano conclusivo, il noto Kali Nitta, suonato e cantato in dialetto griko dai musicisti presenti, è stato una sorta di “volemose bene” a cui ha festosamente aderito tutto il pubblico. Purtroppo la performance è stata funestata da una “imbarazzante” prestazione vocale di Antonio Castrignanò, Ğuna delle figure emergenti nella scena della pizzica salentinağ (dal booklet della NdT) e noto per la realizzazione della colonna sonora di NuovoMondo di Emanuele Crialese. Un brutto neo nell’eccellente lavoro prodotto da Pagani nelle due edizioni da lui dirette, in cui si è voluto ripensare alle musiche della tradizione salentina in una prospettiva interculturale di ampio respiro; compito che Mauro Pagani ha saputo svolgere, oltre che con competenza, anche con entusiasmo. 
 
L’anno prossimo sarà la volta di un nuovo maestro concertatore ma, intanto, molti nodi (anche di carattere politico, fra gli enti che sostengono la manifestazione) dovranno essere sbrogliati, primo fra tutti quello del concreto programma di gestione della Fondazione Notte della Taranta, annunciata da alcuni anni ma che solo lo scorso 27 agosto si è legalmente costituita: si tratta ora di non limitare la Fondazione al mero impegno per spettacoli dal vivo ma di predisporre anche, in accordo a quanto previsto per questi enti culturali, attività relative alla ricerca e alla formazione dei musicisti e degli studiosi.










La Notte della Taranta 2008
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