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Se il compiacimento è eccessivo

di Sara Mamone
  Una scena del film
Data di pubblicazione su web 04/09/2008  

Anche se il festival non è ancora finito possiamo segnalare con una certa tranquillità il film più brutto della rassegna Nuit de chien, di Werner Schroeter, artista ex sperimentale, devoto di Maria Callas e, nella  straordinaria stagione del cinema tedesco degli anni ’70 considerato poeta d’avanguardia, assai impegnato nel decennio in giro per il mondo e premiato proprio nel 1980 a Berlino con l’Orso d’oro. Bulle Ogier, Carole Bouquet, Isabelle Huppert furono tra le sue interpreti ed è forse il rapporto privilegiato con il cinema francese che il regista tenta ora, dopo un certo silenzio, di riprendere con quest’ultima produzione che però non reca i segni di una nostalgia (scusateci se la chiamiamo così, mortificando insieme le intraducibili Sehnsucht e saudade, tenacemente difese come intraducibili dai possessori) che sarebbe a suo modo “poetica” quanto piuttosto i segni di una certa autoreferenzialità.




C’è pure, dietro, la solida trama narrativa di Para esta noche di Juan Carlos Onetti ma non è che questo dia chiarezza e levi velleità al racconto. Sappiamo ovviamente che nell’arte non conta cosa si dice ma come lo si dice. E non vogliamo infierire su questa improbabile storia di ideologie e individualità esposte e filtrate attraverso la notte di Ossorio che ritornato in patria (pare che il romanzo di Onetti si riferisca ad un episodio della guerra di Spagna ma forse è per “universalizzarlo” che l’autore l’ha collocato nell’inconfondibile fascino di Oporto) per ritrovare la donna amata non solo non la trova, ma trova tutto cambiato: morti per strada, minacce di pesti, affrontamenti di bande più o meno rivali, avventi dittatoriali sullo sfondo e nel futuro e, dopo una notte assai sovraccarica, la morte ad un passo dalla salvezza, insieme alla adolescente figlia di un capo perdente della “resistenza”.




Ma né a noi né, soprattutto, al regista interessa la trama: è il resto che lo compiace e che ci inquieta, lo stile narrativo violentemente visivo, quell’impatto quasi espressionista che usava, appunto, negli sperimentalismi degli anni ’70, le sottolineature e i controcanti ideologici (di inarrivabile bruttezza le inquadrature dell’altare e della croce durante gli interrogatori, oltre al commento sonoro con musiche di plateale prevedibilità). Ci inquietano anche, poiché trovano piena conferma nell’opera, le dichiarazioni dell’artista alla ricerca di «utopie complesse in grado di esplorare la profondità della nostra anima e la complessità della nostra natura». Al cinema nessuno ha mai chiesto tanto. 

In una classifica dal basso, lo ripetiamo, difficile fare meglio.


Nuit de chien

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