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Memoria presente

di Sara Mamone
  Tesa
Data di pubblicazione su web 03/09/2008  
Haile Gerima nasce in Etiopia nel 1946; nutrito dalle storie raccontate dai genitori e dai nonni sbarca negli States per compiere una formazione di cinema a Chicago e a Los Angeles e poi... poi pensa continuamente alle proprie radici, fino ad oggi, fino a questo bellissimo film dedicato alla sua terra, alla sua storia e insieme alla propria storia, inscindibili, dando la misura della differenza che passa tra compassione e compartecipazione. Perché in questo film che  trova in Aaron Arefe una perfetta incarnazione dell’autore tutto passa attraverso il filtro di una esperienza e di una memoria personali e anche la Storia, quella grande che ha martoriato la patria dell’artista, viene vissuta nel continuo rapporto con l’individuo, in una sintesi riuscita, come raramente capita di vedere, della dialettica tra le due componenti.

L’incanto del film è nella mancanza di ideologie, pur nella precisa scelta di campo dell’autore-personaggio, è nella maestria con cui la direzione degli attori e delle vicende si impasta nella personale lucida commozione. Il martoriato trentennio che dopo l’esperienza coloniale italiana vede l’Etiopia passare dall’impero di carta di Ailé Selassié alla dittatura di Menghistu e al crollo dei sogni di redenzione della terra attraverso il lavoro dei suoi figli migliori (formatisi negli anni Settanta nelle grandi città europee e pronti al ritorno con animo non filantropico ma di autentico entusiasmo) passa sotto gli occhi dello spettatore non come una lezione di Storia ma come l’esperienza che riesce ad essere in ogni momento personale ed esemplare.





Certo c’è anche la lezione, chiarissima nel prendere per mano lo spettatore come i bimbetti del villaggio per cominciare un’alfabetizzazione per chi nulla sa del periodo, ma c’è anche una scelta cinematografica che trova nel conforto della meravigliosa fotografia dell’italiano Marco Masini un autentico creatore. E c’è  la capacità di raccontare senza alcuna soggezione cronologica, seguendo il filo della memoria del protagonista, in un continuo slittamento temporale che non crea però nessun disagio nello spettatore, guidato anche visivamente  dallo spartiacque di una menomazione fisica che differenzia senza equivoco il tempo della giovinezza da quello del ripiegamento e del ritorno.

Dopo gli anni appassionati della formazione medica e ideologica a Colonia nella cerchia politicizzata degli amici e delle amiche che condivideranno con lui il sogno di una rivoluzione proletaria, Amberber rientrerà in patria carico di illusioni al debutto del regime marxista di Menghistu: anni di lavoro appassionato in ospedale verranno fulmineamente spazzati via dalla svolta estremista del potere, dall’uccisione del più fidato compagno, dall’imposizione del governo di prenderne il posto per una rinnovata formazione nella Germania dell’Est, dove sarà vittima di un attacco razzista che lo mutilerà per sempre.

Tutto questo è però memoria, il suo presente è un ritorno a casa, dopo i lunghissimi anni permeati di nostalgia, con le immagini sempre presenti della sua terra, così come  nel ritorno sarà  sempre aggredito dalle  immagini del suo passato. Ma c’è il presente, ed è, di fatto, il filo conduttore, con il ritorno ripiegato e stanco, l’abbandono infantile alla madre, i nuovi crimini delle due fazioni marxiste che hanno preso il posto del vecchio dittatore, ci sono i ragazzi nascosti nelle caverne per non essere costretti a combattere l’assurda guerra civile (quanto diverso il pathos rispetto al pur volenteroso Feuerherz presentato alla scorso festival di Berlino), c’è, pian piano, il cedimento dell’ideologia di fronte alla vita, allo scorrere ormai privo di tempo, lo sguardo sempre comparativo ma il destino sempre più legato alle forze primigenie che lo cullano e lo imprigionano. O semplicemente lo inseriscono nel fluire naturale di una storia anonima.

Due sono le àncore di questo nuovo porto: la madre vissuta come una parte inscindibile di sé e la giovane che l’assiste e che a poco a poco per impercettibili spostamenti del sentimento gli diventa compagna dandogli quel figlio di cui era stato privato nell’ardente giovinezza tedesca. Se esistesse un premio non per i migliori interpreti ma per i migliori personaggi queste due straordinarie figure non potrebbero essere dimenticate. Altro che femminismo.  Sia o non sia premiato dalle alchimie politico-equilibristiche della giuria è un film che non abbandona la memoria.


Teza
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Il regista Haile Gerima
Il regista Haile Gerima




 
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