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Ubu in Romagna

di Laura Bevione
  I polacchi
Data di pubblicazione su web 18/12/2001  
La "scala del piloro", una contorta struttura a elica, conduce nella botola della nave da cui papà Ubu si appresta a rovesciare il re Venceslao e con cui, alla fine dello spettacolo, sarà costretto a fuggire, sconfitto dalla sua avidità. Fra questi due viaggi, la narrazione delle trame intessute da papà e mamma Ubu per appropriarsi del potere e poi per mantenerlo, fra cinici assassinii e generose regalie. Marco Martinelli, adattatore e regista dell'oramai "mitico" testo che Jarry scrisse ad appena quindici anni, inventa una Polonia che è l'immagine in controluce della sua Romagna - papà Ubu sogna di avere una corsia preferenziale sull'Adriatica per sfrecciarvi con la sua Ferrari e di poter godere tutto solo dei divertimenti dell'Acquafan - e fa parlare la "diabolica" coppia Ubu in dialetto ravennate stretto. I Palotini, il coro di soldati fedeli a Ubu, poi, sono interpretati da un gruppo di adolescenti delle scuole superiori di Ravenna, incontrati dal regista durante i suoi laboratori.

E proprio dal lavoro di autocontrollo delle forze del corpo e di improvvisazione con questi appassionati e divertiti ragazzi sono nate molte delle battute introdotte nell'adattamento di Martinelli, con il duplice effetto di attualizzare decisamente il dramma e soprattutto di rivitalizzarne la carica mordace e ironica. Sulla scia di Jarry, il Teatro delle Albe conia una lingua che mescola dialetto e gergo giovanile, "parolacce" e termini aulici, ed escogita una drammaturgia del corpo capace di far coesistere stilizzazione e fisicità. I giovani Palotini tradiscono un rigoroso esercizio che permettere loro di gestire con apparente spontaneità i propri, spesso accel una sola elle lerati, movimenti, mentre i due protagonisti confermano il proprio addestrato talento.

Ermanna Montanari, con le movenze meccaniche e precise di una statuina di un carillon, sa modulare la propria flessibile voce su tonalità ognora variate; mentre l'attore senegalese Mandiaye N'Diaye, non solo palesa una perfetta padronanza del ravennate, ma attribuisce al suo papà Ubu quell'ingombrante fisicità e quell'infantile velleità d'onnipotenza che caratterizzano il personaggio. Uno spettacolo ideato e realizzato con passione ed entusiasmo, sentimenti che riesce a trasmettere a un pubblico che, come soltanto raramente accade, esce dal teatro soddisfatto e arricchito.


I polacchi
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