Strano destino quello dellamericano Rick Cluchey, prima ergastolano nel duro carcere di San Quentin (California), poi collaboratore e interprete di Samuel Beckett. Risale al 1957 la fondazione della sua compagnia di galeotti che lo avrebbe portato, nel giro di pochi anni, a confrontarsi con le principali opere del drammaturgo irlandese – che proprio in quegli anni venivano pubblicate – e a guadagnarsi la libertà sulla parola. Fu allora che volò in Europa dove poté incontrare il suo autore e iniziare a collaborare con lui in diverse occasioni: una delle ultime lo vide protagonista del Krapps last tape diretto dallo stesso Beckett.
È chiaro che Cluchey fosse lospite donore perfetto per il ventennale volterrano della Compagnia della Fortezza: mentre Punzo e i suoi attori celebrano il loro anniversario, lex-ergastolano della California festeggia i cinquantanni del suo San Quentin Drama Workshop, e lo fa portando in scena, ancora una volta, lopera che lha reso noto in tutto il mondo occidentale, Lultimo nastro di Krapp. Cè chi dice che gli strani personaggi di Beckett, un po pazzi e un po clochard, che spesso non venivano capiti dal pubblico borghese degli anni Cinquanta, ben si addicessero agli attori detenuti, da sempre avvezzi ad esperienze come linterminabile attesa o la quotidianità fatta di vuoti che riempie la pagine dellirlandese.
Rick Cluchey e Samuel Beckett
Vedendo lo spettacolo che Cluchey ha recitato, in inglese sottotitolato, al Teatro Persio Flacco di Volterra, si ha limpressione che questo artista sia ormai totalmente assuefatto al personaggio. Da chi ha lavorato con Beckett e che doveva quindi ben conoscere la sua estrema rigidità in tema di didascalie ci saremmo aspettati unesatta adesione al testo. Ma non è così, le differenze sono certo minime, la gran parte delle indicazioni sceniche sono rispettate, ma vi è comunque qualche lieve distacco. E anche le battute saltano spesso, mentre i sottotitoli continuano a seguire il testo originale, andando così a separarsi dalle parole inglesi pronunciate dallattore. Ciononostante il vecchio e stanco Krapp, che mangia banane mentre incide e riascolta nastri magnetici, è presente, in carne ed ossa. Linfinita lentezza che caratterizza i suoi movimenti, le sue lunghe pause, il suo camminare avanti e indietro per la stanza sono quelle delluomo che festeggia il suo sessantanovesimo compleanno mentre ripensa al quasi identico trentanovesimo genetliaco.
E così anche quando viene ad inchinarsi agli applausi del pubblico, Cluchey non sembra affatto dissimile da Krapp: le loro età sono analoghe, sono in qualche modo nati e cresciuti insieme. Risultano invece più deboli le lunghe parti registrate: il Krapp giovane, che ricopre quasi metà del testo, riascoltato dallanziano che ripensa allunico momento di amore della sua vita, è – probabilmente per scelta – estremamente piatto. La sua voce melodiosa, che non trasmette alcuna emozione, procede indisturbata e non sembra trovare un reale interlocutore nel vecchio che ascolta ma non interagisce. Può darsi che la quasi totale identificazione dellattore nel personaggio non giochi a favore della rappresentazione; pur attentissimo osservatore e conoscitore di Beckett, Cluchey non poteva certo ringiovanire per questa rappresentazione. E se il Drammaturgo aveva accettato di dirigerlo come Krapp negli anni Ottanta, chissà se avrebbe voluto che questavventura continuasse.
Lultimo nastro di Krapp, diretto e interpretato da Cluchey, a qualche centinaio di metri dal carcere di Volterra, costituisce indubbiamente un evento raro, per il suo significato simbolico e per la sua capacità di riportare in scena un momento di storia del teatro, probabilmente non troppo dissimile da come laveva pensato il suo autore. Certo è che i cinquantanni esatti trascorsi dalla pubblicazione del testo sono forse ancora troppo pochi per poter realmente apprezzare la pièce beckettiana, ma sono forse troppi per assistere ad una rappresentazione tanto realistica e storica da sembrare ormai un po invecchiata.
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