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Un balletto di Kirov in minore

di Gabriella Gori
  Una scena dello spettacolo
Data di pubblicazione su web 19/06/2008  

Il lago dei cigni, emblema del balletto tardo-romantico, è un classico nell’accezione più completa del termine e per definire questa sua intrinseca classicità calzano a pennello le osservazioni di Italo Calvino che, parlando di classici, sosteneva che «un classico è un’opera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso». Ebbene una simile definizione si adatta anche a quanto stiamo per scrivere su Il lago dei cigni del Balletto Kirov del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo in scena al Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena per la tournée italiana dello storico corpo di ballo. Tournée improvvisamente decurtata della tappa di Ferrara, dopo quelle di Parma e Modena, per incomprensioni tra il dimissionario Machar Vaziev, alla testa della compagnia dal 1995, e il Sovrintendente del Marinskij Kirov, Valery Gergiev. Un perentorio “richiamo all’ordine” di staliniana memoria che sembra essere ancora il modus operandi della Russia ‘putiniana’.




Lasciata da parte questa considerazione e riprese le fila del discorso, quello che in questa sede si dirà sulla resa di questo ballet d’action tardo-ottocentesco, frutto di quel «pulviscolo di discorsi critici» di cui parla Calvino, non inficerà e neppure scalfirà l’esemplarità e l’eccellenza del capolavoro musicato da Cajkovskij e coreografato da Petipa e Ivanov per il Teatro Mariinskij nel 1985. Capolavoro che, in qualità di exemplum, ha costituito e continua a costituire materia di riprese “classiciste”, ovvero sostanzialmente filologiche, o per così dire “anticlassiciste” per le stravaganti rivisitazioni. Operazioni che attestano comunque la necessità di dissacrare un classico proprio perché di prima qualità e di continuare a riproporlo perché impossibile farne a meno. E portavoce di questa esigenza “classicista” non poteva che essere l’organico del Kirov che ripropone la versione del balletto ‘cajkovskijano’ rimontata da Konstantin Sergeev nel 1950 con la variante sovietica dell’epilogo in cui il principe Siegfrid uccide il mago Rothbart, le fanciulle-cigno riprendono le sembianze umane e Odette vive felice con il suo amato. Una felicità tutta terrena a differenza di quella romantica prevista da Petipa-Ivanov in cui i corpi dei due amanti vengono sommersi dalle acque e i loro spiriti, uniti per l’eternità,  volteggiano sul lago tornato calmo.     

A parte questa variatio, comprensibile se collocata nel contesto storico-politico dell’U.R.S.S. tra il primo e secondo Novecento, il balletto, allestito con le scene di Simon Virsaladze, i costumi di Galina Solov’eva e accompagnato in Italia dall’orchestra del Teatro Regio di Parma diretta da Michail Sinkevic, procede in tre atti, anziché nei canonici quattro, lasciando immutati fabula e intreccio. Nel primo il principe Siegfrid festeggia nel parco del castello la maggiore età divertendosi con gli amici, il precettore e gli invitati. A turbare il clima spensierato arriva la Regina madre, decisa ad obbligare il figlio a prendere moglie. Il giovane, per nulla convinto, le regala un mazzo di rose per rabbonirla e riceve in dono una balestra dalla sovrana che si congeda. La festa prosegue con le trovate del buffone di corte e al calar della sera gli ospiti si ritirano. Siegfried, rimasto solo, è attratto da uno stormo di cigni bianchi e decide di andare nel bosco a caccia. Arrivato al lago vede gli animali nuotare e presa la mira sta per colpirli quando questi uccelli si trasformano in giovani fanciulle. Odette, la principessa-Cigno, lo ferma raccontandogli di essere prigioniera insieme alle altre di un incantesimo del mago Rothbart. Potrà essere liberata solo da chi le giurerà amore eterno. Fra i due scocca la scintilla e l’incanto è suggellato prima e dopo dalla danza corale dei cigni. L’alba e la metamorfosi in uccelli chiude l’atto.


 



 

Il secondo si apre con il ballo al castello organizzato per il genetliaco di Siegfried e a cui partecipano nobili e principesse che sperano di essere impalmate. Il giovane però, con il pensiero rivolto ad Odette, non è interessato a nessuna e neppure ai numeri del buffone e alle danze nazionali presentate dagli ospiti stranieri. L’arrivo di Rothbart e della figlia Odile, sosia malefica di Odette in tutù nero, scompagina il tutto e Siegfrid, secondo i piani del mago, si invaghisce di Odile e la presenta alla Regina come futura sposa. Infranta la promessa, in lontananza appare lo spirito di Odette e il principe capisce di essere stato ingannato. Rothbart e la figlia esultano mentre lui corre verso il lago dall’amata. Nel terzo atto al chiaro di luna le fanciulle-cigno nuotano meste pensando al loro destino e tuoni e fulmini annunciano l’arrivo di Rothbart. Siegfrid disperato chiede perdono all’amata, dichiarandole amore eterno. Il mago tenta con ogni mezzo di separali ma il principe nella lotta ha la meglio e il Signore del male muore spezzando l’incantesimo e riconsegnando alla vita e all’amore Odette e le compagne.


Di fronte a questo Lago dei cigni l’impressione è quella di uno spettacolo non proprio degno della “casa madre” se non per la presenza di Ul’jana Lopatkina, uno splendido Cigno Bianco e Cigno Nero, e di alcuni momenti topici che riscattano questo tanto atteso evento modenese da cui, francamente, ci saremmo aspettati di più.  Il corpo di ballo è apparso disomogeneo con elementi giovanissimi e alcuni decisamente agés come nel passo a tre del primo atto dove non è possibile non notare la brava ma  non più giovane Irina Golub. Nel secondo atto la suite delle danze di carattere (spagnola, napoletana, ungherese, mazurca), manca di brio pur nell’esecuzione di scuola e il giullare, al secolo Andrej Uvanov, è un saltatore nato ma lascia a desiderare per pulizia tecnica. Un particolare che risulta strano in un elemento formato dall’alta accademia pietroburghese. Lo stesso dicasi, purtroppo, per Ivan Kozlov nel ruolo di Siegfrid, un principe a livello interpretativo di scarso spessore e tecnicamente deludente. La poca accuratezza nell’esecuzione dei passi, in particolare batterie e grandi salti, desta meraviglia in un danzatore  russo, come stupisce il suo essere un protagonista monocorde, incapace di dare risalto ai chiaroscuri umorali che dovrebbero fare la differenza tra i vari atti. E questo, a onor del vero, malgrado l’allure elegante e la fisicità statuaria di Ivan siano quelle di un tipico danseur noble assai adatto al Lago. 




Attenuano queste defaillances le varie entrate dei cigni nei magici “atti bianchi”, in questo caso  primo e terzo, coreografati da Ivanov. La performance del corpo di ballo, i cui ogni uccello è la precisa  duplicazione di Odette, è perfetta, e le fanciulle-cigno si muovono  all’unisono nell’eseguire arabesques, attitudes, grands pas de chat, pas de bourrés suivi, temps levés in arabesque, battements battus, sissonnes. Tutti passi a cui rispondono le pose malinconiche delle teste, appoggiate su colli leggermente inclinati, e la posizione di braccia e mani incrociate all’altezza dei polsi a simboleggiare le catene dell’incantesimo di Rothbart. Incantesimo reso ancora più evidente dalla variazione dei quattro cignetti (Elena Cmil, Elena Juskovskaja, Elena Sesina, Veleria Martinjuk) che, uniti con le mani soprammesse, si muovono orizzontalmente mentre eseguono gli emboités en avant e en arrière, i piqués, i contre-temps, in sincronia con i movimenti del capo.

Vera perla di questo Lago dei cigni è però Ul’jana Lopatkina nel duplice ruolo di Odette/Odile, un’artista a cui a buon diritto spetta un posto d’onore nell’“albo” delle russe che hanno reso celebre il Cigno Bianco e il Cigno Nero dopo Maja Plisetskaya e Natalia Makarova. E questo perché Ul’jana, vera star del Balletto Kirov, è al top sotto ogni punto di vista. La sua tecnica è strabiliante e smagliante nello sfoderare gli equilibri in arabesque, in attitude, à la seconde a 360°, nell’esasperare le lunghissime linee di gambe e braccia stese fino all’inverosimile, nell’eseguire i portentosi e insidiosi fouettés nel grand pas de deux del secondo atto, dando prova di poter spingere al massimo il virtuosismo di cui ha pieno controllo. Ma la Lopatkina – e qui sta la differenza tra un  vero interprete e un esperto esecutore di passi – non è un automa e riesce come dice Vladimir Vasiliev, altro grande russo ma del Bolscioi, a mettere “l’anima” in tutto quello che fa. E questa “anima” si vede nel momento in cui avviene il passaggio dal Cigno Bianco al  Cigno Nero.               

Nel primo e terzo atto il suo Cigno Bianco resta impresso per l’infinita dolcezza e impalpabilità delle braccia, il languore e la struggente malinconia con cui atteggia il collo e testa, i palpiti e la ritrosia con cui si relaziona a Siegfrid, la fortissima spiritualità  che riesce ad emanare e che è poi la cifra di Odette.Nel secondo atto invece Ul’jana Lopatkina nei panni di Oldile è dir poco un’altra persona e colpisce per il cambiamento che riesce ad operare distanziando i due ruoli. Alla spirituale Odette fa eco la seducente Odile, una belle dame sans merci aggressiva, sicura di sé, che fagocita il principe e lo spazio intorno a sé mostrandosi in tutta la sua sfacciata bellezza e protervia nel grand pas de deux. Solo una volta questa femme fatale di ‘beaudelairiana’ memoria mima la classica e delicata posa del Cigno Bianco ma è solo un attimo, quanto basta per ingannare Siegfrid nella fabula e dimostrare sulla scena la bravura di Ul’jana Lopatkina. Alla fine calorosi applausi hanno salutato il Balletto Kirov riservando a Ul’jana interminabili ovazioni che se sono state scroscianti in chiusura, non sono mancate neppure a scena aperta nei singoli atti.




Il lago dei cigni
cast cast & credits
 



 

 


 






 

 
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