Anche per quanto riguarda lItalia la storia dellarte e dello spettacolo sta scoprendo sempre più, nel Seicento, il suo secolo doro. Nella più attenta indagine storico artistica che in questi ultimi anni sta spostando lasse da un dominio fiorentino-romano-veneziano ad un più equilibrato rapporto con le altre grandi capitali della cultura, Genova sta veramente riprendendo il posto che le compete. Rappresentata ancora nellimmaginario collettivo come città di mare e di “Lanterna” vive un riassetto urbanistico generale che non solo lha rimessa in contatto con il suo bel porto antico, ma ne sta ora recuperando appieno la nobiltà urbanistica interna.
Valerio Castello: Le Danaidi
“La superba” sta pian piano riappropriandosi di quel ruolo di capitale che nel Seicento aveva pienamente e che non solo brilla nel simbolico percorso della Strada Nuova (più modernamente Garibaldi), ma nella progressiva messa in luce dei suoi artisti più grandi, anche se non sempre “rinomati” come i contemporanei di più note scuole. Le straordinarie mostre su Van Dick (Palazzo ducale 1997-8) e su Letà di Rubens (ivi, 2004) hanno aperto il cammino, nel quale ora marcia sicuro un drappello di storici e sovrintendenti che ha davanti a sè un fruttoso cammino. La tappa più recente si sofferma oggi su Valerio Castello (1624-1659), figlio del già noto Bernardo (anchegli pittore e amico del Chiabrera) ma, soprattutto, grande innovatore. Ed è per questo che, per questa volta, perdoniamo linutile sottotitolo (genio moderno) della bellissima mostra.
Ottimamente collocata nelle sale del palazzo reale di via Balbi e precisamente negli spazi occupati in quegli anni dal frequentatissimo teatro del Falcone (anche in questo campo, quando un serio studio restituirà a Genova la sua importanza nel circuito teatrale del tempo?) litinerario espositivo delinea con chiarezza dimostrativa i termini di questa “novità”, ben percepibilie sia nelle opere scelte che nel non inutile contesto dei pittori del tempo. Il padre stesso, Andrea Semino, Luca Cambiaso, Giovan Battista Carlone, Orazio e Giovanni Andrea De Ferrari, l Assereto, tra gli altri, e i suoi allievi (Bartolomeo Biscaino, Giovanni Paolo Cervetto, Stefano Magnasco), qui pertinente dimostrazione e non inutile riempitivo.
Valerio Castello: Il ratto di Proserpina
Riunite come in unideale quadreria le opere di piccole dimensioni mostrano il successo avuto presso i collezionisti dellepoca. Lopera dellartista viene poi illustrata nelle tele della maturità, le grandi Adorazioni dei pastori e i Ritrovamenti di Mosè che, con ardimenti coloristici e di panneggio preludono al Trionfo di David e a Le Danaidi opere che mostrano inequivocabilmente il talento precorritore di Castello verso il futuro gusto rococò. Le influenze di Perin del Vaga e di Parmigianino sono messe in luce come le successive di Van Dick e, in particolare di Giulio Cesare Procaccini. Preziosa la possibilità di ammirare, ovviamente in loco, l affresco dellAllegoria della Fama, e ancora i capolavori de Il Ratto di Proserpina e de Il ratto delle Sabine, oltre a La strage degli Innocenti. Un regalo aggiuntivo, da non tralasciare, a due passi dalla mostra, nel palazzo Balbi Senarega, ora sede dellUniversità, il Carro del tempo che affresca la volta del Salone.
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