Raramente a teatro le parole recitate sul palcoscenico si legano alla vita che scorre in platea: per farlo Cesare Lievi ha raccontato la normalità di cui è fatta lesistenza di ciascuno.
La Badante, in scena a Brescia nella piccola sala del Teatro Santa Chiara, è lultima nata del Teatro Stabile di Brescia, che recentemente, grazie a Lievi, suo direttore artistico dal 1996, ha giustamente attirato lattenzione della critica. La commedia, già messa in scena al Teatro di Wiesbaden in Germania, seconda patria del regista, è lultima pièce di una trilogia che ha già debuttato con Fotografia di una stanza (stagione 2004/2005) e Il mio amico Baggio (stagione 2006/2007).
Cesare Lievi è nato a Salò, ricca cittadina sul lago di Garda di reminiscenze fasciste, ed è a Salò che il regista-autore ambienta questa commedia, velata di giallo e dal sapore amaro.
Ad una anziana e facoltosa vedova, interpretata da Ludovica Modugno, viene affiancata Ludmilla, ucraina, che ha il compito di assisterla. Come sempre accade, sono i figli a prendere questa decisione. Essi, luno ricco imprenditore che vende motoscafi in Cina e laltro scrittore intellettuale e girovago, entrambi senza figli, difendono con fervore la badante dalle accuse della madre che, convinta della poca buona fede dellucraina e affetta di buchi di memoria, sostiene sia una ladra. Lanziana, giunta alla fine dei suoi giorni, assistita da Ludmilla, muore.
Con grande sorpresa dei figli, dopo la sua morte, si scopre che il conto corrente della vedova è praticamente in rosso: quattro milioni di euro svaniti nel nulla. Dove sono finiti quei soldi? La buona fede degli eredi vacilla e si convincono che Ludmilla abbia plagiato lanziana madre. Non cederemo qui alla tentazione di svelare al lettore il finale.
Ludovica Modugno e Leonardo De Colle
Chi si merita quei soldi? Chi se li è sudati o chi li ha trovati, da figlio, già accumulati? Potrebbero essere parole scritte da Brecht. E la domanda che Lievi fa al pubblico, in una serata in cui, passeggiando nel centro di Brescia, città che vive e lavora grazie agli immigrati, ci si accorge che gli italiani sono in netta minoranza.
Lievi ha laccuratezza di non ridurre il tema dellimmigrazione a quello del razzismo, ma se ne serve per confrontare due generazioni, una figlia dellaltra, che non riescono più ad ascoltarsi: quella dellanziana, che ha vissuto la sua giovinezza negli anni ‘50, anni della fatica, del lavoro e della ricchezza sudata, parla una lingua diversa da quella dei figli, generazione di chi «è entrato nella vita e vi si è accomodato». Da questo mancato dialogo nasce solo una dolorosa solitudine, riempita dalle poche e timide parole di Ludmilla, in una stentata lingua italiana.
Il sipario si apre per tre volte -tre sono gli atti- su un ricco interno borghese, illuminato dalle belle luci di Gigi Saccomandi, in fondo al salotto una grande finestra con vista sul lago di Garda, buen retiro del regista. La scenografia, chiara e leggera, di Josef Frommweiser, si riduce ad un tavolo, poche sedie e qualche foto ricordo.
Gli attori ben disegnano i personaggi. Ludovica Modugno, esperta doppiatrice (tra le altre, di Glenn Close e Angelica Huston), è perfetta nel ruolo dellanziana madre, lucida e tagliente; i figli Leonardo De Colle, bravo attore cresciuto alla scuola di Strehler, e Emanuele Carucci Viterbi sostengono con grazia i dubbi di figli diseredati insieme a Paola di Meglio, interprete di Inge, acida moglie del primo figlio; Giuseppina Turra, Ludmilla, è delicata e vivace allo stesso tempo.
Nonostante il tema spinoso, la scrittura è agile e facile allascolto, le parole si raccordano bene con lelegante allestimento e sono valorizzate dagli attori. Lo spettacolo risulta semplice ma mai banale e il pubblico ringrazia con calore per la bella serata di teatro.
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