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Poche idee per Carmen, ma anche momenti alti

di Sara Mamone
  Una scena dell'opera
Data di pubblicazione su web 06/05/2008  

Perché scegliere Carmen, opera stranota e rappresentata, per il Maggio musicale, cioè per quello che, pur con una spiccata vocazione internazionale che non è comunque deriva turistica, è pur sempre un festival, o come lo si voglia chiamare, un’istituzione che sospende il tempo della normale routine esecutiva per sperimentare e offrire nuove proposte? Perché, evidentemente, si ha qualcosa da dire: una nuova lettura scenica, una nuova interpretazione musicale, nuovi talenti da lanciare, insomma una qualche ragione ci sarà.  Se c’ era, però dobbiamo confessare che, a sipario calato, non siamo riusciti a trovarla. Zubin Mehta è sempre un prodigio di finezze e suggerimenti ma qui, pur conducendo l’orchestra e il coro ai consueti livelli di eccellenza, non sembra aver avuto la forza di opporsi al nulla ideativo di Carlos Saura.

 Dispiace dirlo e perciò lo diciamo subito: non capiamo perché l’istituzione fiorentina continui nella pratica, che si è dimostrata ampiamente  perdente, del ripescaggio di registi cinematografici (meglio se di sontuosa anagrafe) per affidargli imprese casuali o, come in questo caso, di pericoloso remake. Nella fattispecie siamo dinanzi ad un autoremake, poiché la felice trasposizione scenico-tersicorea del film dello spagnolo risale a venticinque anni fa, quando tutti erano al loro zenith, anche la grande Cristina Hoyos qui poco più che prestanome e il protagonista Antonio Gades splendeva al sommo della sua arte flamenca). Già allora Saura per cavarsi d’impaccio dall’abuso di folklore sivigliano aveva risolto con un ben riuscito parallelismo tra vicenda rappresentata e coinvolgimento analogico degli interpreti. Ma ora, che fare? L’intollerabile folklore è stato levato ma non appare sostituito.

C’è poi un’incomprensibile dissonanza tra la scenografia, quasi zen, costituita da disincarnati e astratti pannelli dietro i quali compaiono volta a volta suggestive ombre cinesi che duplicano felicemente i piani dell’azione, e i costumi quasi tradizionali e comunque descrittivi, il cui ingombro si moltiplica nell’imponente numero di coristi (eccellenti grandi e piccini, i primi  preparati dal maestro stabile Piero Monti, i secondi da Marisol Carballo). Naturalmente qualche zampata resta, soprattutto nei momenti in cui le psicologie sono più rilevate e i personaggi seguiti con rispettosa attenzione, quali il duetto nella V scena del II atto tra Carmen e don José, o l’agnizione di quest’ultimo da parte di Escamillo nelle gole della montagna o, finalmente, tutto l’atto IV, in cui il letargo registico pare cedere ad una sorvegliata ma partecipe trepidazione nella coscienza dell’ineluttabilità del dramma.

Detto ciò è evidente che gli interpreti procedono un po’ in ordine sparso e quindi se la cava assai bene Inva Mula (Micaela) che non fa affatto da controcanto “bianco” alla “nigra” sigaraia ma canta autonomamente senza porre né porsi i problemi che abitualmente comporta il suo inserimento nella vicenda. L’ottimo Ildebrando d’ Arcangelo da parte sua non ha grossi problemi perché anche Escamillo procede drammaturgicamente per conto suo, è la cartina di tornasole del desiderio mutevole di Carmen, non un vero antagonista. Venendo ai veri protagonisti della storia i due differenti registri degli interpreti ben rendono la sostanziale incomunicabilità tra i due personaggi. Se non ci è spiaciuta affatto l’inclinazione “verista” di Alvarez (che però non strideva con l’insieme solo perché l’insieme non c’era) Julia Gertseva ci è parsa protagonista piuttosto debole, bella scenicamente, individualmente padrona del palcoscenico ma non motore della vicenda e, anche vocalmente, piuttosto contigua ai ritmi sopranili che al canto scuro del mezzosoprano. Salvo nell’ultimo atto in cui il sangue, oltre a scorrere dinanzi all’arena, pare rifluire un po’ nelle vene del regista, accompagnando tutti ad un compiuto, emozionato finale che giustifica i calorosi applausi conclusivi come sempre duplicati all’apparire del maestro Mehta e della sua aristocratica affabilità. 







Carmen di Georges Bizet



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