Confrontandosi con uno dei più noti testi del Novecento, la regista Cristina Pezzoli decide di trattarlo come un prezioso “reperto archeologico”: certo ricco di potenzialità, ma anche estremamente rischioso da mettere in scena. La pièce fu infatti composta nel 1939 da un Brecht rifugiatosi in Danimarca, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Raccontando la storia di una commerciante senza scrupoli che cerca di arricchirsi con la guerra, il drammaturgo voleva anche ammonire i paesi nordici che si preparavano a trarre profitti dalle imprese belliche della Germania nazista. Come fare, allora, perché lo stesso Brecht potesse parlare con la stessa energia agli spettatori di oggi? Ci voleva un medium, e Cristina Pezzoli si è rivolta alleccellente drammaturgo Antonio Tarantino.
Adattando per lo spettacolo la traduzione di Roberto Menin, lo scrittore fa ricorso a diversi registri linguistici per caratterizzare i personaggi: non solo un linguaggio aulico (ad esempio per il Cappellano) che si contrappone a un linguaggio più colorito e volgare (quello della Contadina), ma addirittura una serie di dialetti che inducono a connotare ancor più precisamente i protagonisti dellopera. Si arriva così ad ascoltare una sinfonia linguistica dagli echi babelici e si ripensa alle guerre civili che nella nostra penisola furono la causa della nascita di diversi idiomi. Il dialetto serve inoltre a portare immediatezza e realismo, facilitando il contatto col pubblico odierno.
Anche i songs vengono qui sottoposti a riscrittura con uno sguardo alla contemporaneità: Pasquale Scialò presenta quindi una musica a volte rock (come quando canta Eilif) altre volte più dolce e melodica, spesso molto ritmata grazie anche alluso dei più bizzarri strumenti a percussione. Per quanto riguarda invece la scenografia, lo spettacolo resta assai fedele agli allestimenti del Berliner Ensemble, documentati dalla grande quantità di fotografie (fino a 800) scattate da Brecht in occasione di ogni spettacolo. Troviamo quindi il classico carro di Madre Courage e addirittura la stessa disposizione dei personaggi in molte scene celebri dellopera.
La nutrita compagnia di attori risponde bene ai propositi della regista: Isa Danieli (Madre Coraggio), Alarico Salaroli (il Cappellano) e Marco Zannoni (il Cuoco) danno vita ad un terzetto esilarante grazie ad una recitazione estremamente precisa e dinamica riuscendo poi a mantenere la stessa energia e simpatia anche nelle parti cantate. Fra gli altri — troppo numerosi per esser nominati tutti — si ricorda la straordinaria Xenia Bevitori che interpreta Kattrin, la figlia muta, con grande pathos e verosimiglianza.
Il lavoro della compagnia degli Ipocriti è dunque di grande impegno: da una parte lattento studio (appunto come un “reperto archeologico”) delloriginario spettacolo diretto da Brecht, dallaltra il tentativo di avvicinare lopera del 1939 al pubblico di oggi, ma senza tradirne lessenza né apportare troppo esplicite modifiche. Ne deriva una rappresentazione che dura tre ore e che riesce a tenere il pubblico col fiato sospeso fino alla fine; una rappresentazione che costringe a riflettere sulle tematiche proposte, che commuove per la tragicità delle vicende, ma che sa anche far ridere, come voleva Brecht, con alcuni momenti quasi comici, in cui gli attori sembrano allontanarsi dalle disgrazie dei loro personaggi per abbandonarsi ad unallegra canzone.
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