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Indietro Savoia

di Roberto Fedi
 
Data di pubblicazione su web 05/12/2007  

In una domenica piovosa tutto, ma proprio tutto, si penserebbe di sentire e vedere alla televisione, fuorché una discussione in prima pomeriggiata (scusate il neologismo: è l’equivalente della prima serata, però il pomeriggio) sui Savoia. Se poi la trasmissione è Domenica In, si resta di stucco. Se poi a condurre il dibattito, definito L’arena, è il Giletti, noto storico del Novecento come si sa, e a tagliare e cucire dichiarazioni sulla guerra, le leggi razziali, Umberto II, Vittorio Emanuele e compagnia (poco) bella è l’altrettanto nota studiosa che risponde al nome di Alba Parietti, beh: conviene lasciare accesa la Tv e guardare, magari prendendo appunti.

 

Si era su Rai Uno, 2 dicembre, dove solo sei giorni prima, ma di sera, aveva ammaestrato gli italiani il Filosofo, alias Celentano. Che, per inciso, ha avuto una bella débacle di ascolti: l’avevamo previsto – mica siamo scemi, e neanche tutti gli italiani. Insomma, una Rete di intellettuali. La ragione della discussione, che ha avuto momenti “drammatici” (ha detto il Giletti), e secondo noi di una comicità che non si vedeva dai tempi di Un giorno in pretura con Alberto Sordi, ma purtroppo involontaria, era la richiesta di risarcimento (uno sproposito di miliardi) che i due, anzi i tre, Savoia (Vittorio Emanuele, il figlio, e la moglie di Vittorio) hanno richiesto allo Stato italiano. Per cosa poi non si sa: semmai, detta anche solo col buonsenso, dovrebbe essere lo Stato a richiederglielo, visti i disastri che quella dinastia ha combinato nel secolo XX.

 

Naturalmente, qualsiasi giornale serio (tutti, questa volta senza eccezioni) ha preso la faccenda per quello che era: una cosa “pietosa” (citiamo fra virgolette, non si sa mai, perché è l’aggettivo usato dalla sorella di Vittorio, Maria Gabriella). E quindi gli ha dedicato lo spazio che meritava: poche righe in cronaca. La Rai, invece, no: si vede che, secondo loro, i sentimenti monarchici in questo paese, e fra gli ascoltatori della prima pomeriggiata della domenica, sono ancora forti, fra un caffeino, un rutto, e una dormita sul divano dopo la pastasciutta.

E così sembrava di essere tornati agli anni Cinquanta, quando i rotocalchi in bianco e nero si occupavano quasi esclusivamente dei Savoia, dei loro scandali, dei loro amori, e di altre scemenze. In studio: monarchici sfusi; poi la direttrice di Diva e donna, altrettanto nota studiosa della Storia del Novecento, evidentemente; poi in collegamento Amedeo di Savoia; e poi la succitata, e anche eccitata, Alba.

Siamo venuti a sapere che i monarchici sono divisi in due fazioni – e ti pareva. Quelli secondo i quali l’erede legittimo è Vittorio (quello dello scandalo recente, più altri scandali passati), e quelli che invece ritengono che sia l’Amedeo (quello in collegamento). A noi, onestamente, ce ne interessa meno di nulla: sarebbe come chiedersi chi è l’erede degli Etruschi, con le nostre scuse a questi ultimi. Si vede però che c’è gente che aspetta il ritorno del re. E nel frattempo che fa?, verrebbe da chiedersi. Va da Giletti, evidentemente.

Questa bella congrega di saggi si è accapigliata per mezz’ora (poi abbiamo chiuso) su questa bella discussione accademica, con Alba ormai ridotta – ci dispiace – a un paio di labbroni siliconati da paura, che urlava contro uno che, sembra ma s’è capito poco, aveva sostenuto che le leggi razziali, in fondo in fondo…. Il Giletti l’ha buttato fuori, senza che la cosa avesse francamente niente di drammatico ma solo molto di grottesco. La direttrice, da una che se ne intende, ha più o meno detto che il Vittorio è un puttaniere (alla lettera: “che andava con le prostitute”); tutti hanno sostenuto che la vera anima nera è Marina Doria che – ora ci viene in mente – è la mogliera  terribile del suddetto. Dando ragione a Umberto II, che, in esilio, aveva sganciato dalla linea dinastica il figlio perché aveva sposato una borghese. Alla fine, come ha sentenziato il Giletti mentre parlava Amedeo, solo la pubblicità ha il potere di interrompere “un’altezza reale”. Fine.

Noi siamo rimasti allibiti. Ma contenti: essendo nati nel dopoguerra, non avevamo mai visto com’è fatto un monarchico. Ora la curiosità è stata accontentata: da non far vedere ai bambini.






 
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