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Serenità

di Roberto Fedi
  Rosa nel sangue
Data di pubblicazione su web 26/11/2007  

Manteniamoci sui fatti. Dunque, il 27 novembre doveva andare in onda sulla Rai La vita rubata. Cos’è? È una fiction, cioè uno sceneggiato che prende spunto da un fatto di cronaca. Di cronaca tragica, se mai ve n’è stata una.

È la storia di Graziella Campagna. E chi è Graziella Campagna? È, o meglio era, una ragazzina di 17 anni, che viveva a Villafranca Tirrena, in provincia di Messina. Un giorno del dicembre 1985 (attenti alle date: 22 anni fa) fu trovata uccisa a colpi di lupara: un delitto inspiegabile. Era una bambina o poco più, del tutto estranea alla criminalità organizzata. Non era di una famiglia ricca. Non viveva in una grande città. Lavorava come stiratrice in una lavanderia.

Quindi, lo si dice con grande amarezza, non era ‘nessuno’. Il suo omicidio viene subito dimenticato. Da tutti. Fuorché dal fratello, che è carabiniere. «Un'indagine – citiamo dal Corriere della Sera del 23 novembre – durata 20 anni, fra inchieste stoppate e procedimenti giudiziari annullati». Che mette in luce una realtà da disperazione. Che è la seguente, sempre dal Corriere della Sera: «due boss mafiosi latitanti di Palermo dimenticano un'agendina nella tasca di una giacca lasciata in lavanderia. Graziella scopre che l'uomo che tutti in paese conoscono come l'ingegnere Cannata altro non era che il boss Gerlando Alberti junior, nipote dell'omonimo boss di Palermo. Il mafioso, per paura di essere scoperto, come emergerà dal processo, decide di eliminare la ragazza».

Agghiacciante. Ancora più agghiacciante è il seguito. Perché il processo, tenuto nel 2004, si chiude con la condanna all'ergastolo di Alberti e del suo complice Giovanni Sutera. «Ma il nipote del boss palermitano – ancora la stessa fonte – dopo un anno e mezzo torna in libertà perché i giudici della Corte d'assise non depositano entro i termini stabiliti le motivazioni della sentenza di condanna e quindi viene annullata per decorrenza dei termini la custodia cautelare. Alberti, infatti, rimasto in cella per altri reati, ha lasciato il carcere perché avendo già scontato una condanna per traffico di droga e potendo beneficiare dell'indulto per gli altri reati di cui è stato ritenuto colpevole torna un uomo libero».

Si rimane allibiti. Non basta, ancora: perché un’inchiesta del Ministero di Giustizia non produce altro che l’archiviazione del caso del magistrato ritardatario.

Bene (si fa per dire). La fiction della Rai avrebbe dovuto parlare dell’omicidio, fra i più tremendi che si ricordino. Diciamo ‘avrebbe’ perché non la vedremo, per lo meno a breve: il Ministro della Giustizia è intervenuto per farla rinviare sine die. Perché? Perché il 13 dicembre si terrà il processo d’Appello, e la messa in onda «avrebbe potuto turbare la serenità dei giudici della Corte d'Assise di Appello», come recita una nota della Direzione Generale della Rai, che riprende la richiesta del presidente della Corte di Appello di Messina che, attraverso il Ministro di Giustizia, ha fatto bloccare lo sceneggiato.

Noi non abbiamo parole. O meglio: ne avremmo parecchie, ma temiamo querele. Quindi non commentiamo: se non per osservare che in questa terribile vicenda tutto, ma proprio tutto, ci sembra rilevante, fuorché la cosiddetta «serenità» dei giudici: così sensibili, ma così sensibili,  così anime candide da far temere che si lascino «turbare» (ma in che senso?) da una fiction interpretata dal fratello di Fiorello.

Così vanno le cose, my friends: o meglio, per citare Manzoni, così andavano nel secolo decimosettimo.

PS. La cosa, il rinvio della fiction con questa motivazione, non ha avuto nessuna eco di rilievo sui giornali, in Tv, alla radio, in pubblici dibattiti, né commenti di alcuno dei ‘maestri del pensiero’ e politicanti che ogni giorno ci ammorbano con le loro esternazioni. Nemmeno oggi mentre scriviamo, 24 novembre, giorno in cui migliaia di donne sono sfilate a Roma contro la violenza sulle donne. Abbiamo sentito parlare di tutto, fuorché di Graziella Campagna. Era una stiratrice di 17 anni di Villafranca Tirrena. Quindi, ‘nessuno’.

Complimenti.






 
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