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L'Andreini straniato di Ronconi

di Laura Bevione
  Mariangela Melato e Manuela Mandracchia
Data di pubblicazione su web 06/08/2002  
Il centrale corso Ercole I chiuso al traffico e tramutato in palcoscenico: l'asfalto celato da un distesa superficie di specchi, con chiaro riferimento al titolo - così come ai meccanismi scenici e "psicologici" ante litteram che la governano - della commedia. Questo intervento scenografico, l'unico in realtà, costituisce tuttavia soltanto l'aspetto più evidente e di immediata suggestione di un trattamento dello spazio "naturale" fornito dalla città di Ferrara assolutamente unico e originale.

La facciata del Palazzo dei Diamanti e quella del palazzo di fronte sono allo stesso tempo quinte laterali ed elementi scenografici "praticabili": i due edifici sono le case rispettivamente di Florinda e di Lidia che da esse entrano ed escono quando non si affacciano alle finestre. Ronconi costruisce una sorta di microcosmo che non rimanda tanto alla "strada" quale luogo proprio allo spettacolo della Commedia dell'Arte, bensì suggerisce l'alterità e, in sostanza, l'inverosimiglianza, della società inventata da Andreini.

La scenografia preesistente, con il suo implicito rimando a un'epoca da una parte inesorabilmente passata e dunque irreale e, dall'altra, presente ed eloquente, fornisce la giusta ambientazione per una vicenda allo stesso tempo grottesca e paradigmatica, quasi surreale ed esemplificativa di processi mentali del tutto moderni. Uno spazio pressoché spoglio - unici oggetti di scena due sediole - e un unico intervento di scenotecnica, vale a dire il tank (un parallelepipedo le cui pareti riprendono il motivo architettonico "acuminato" della facciata del Palazzo dei Diamanti) con il quale sopraggiungono i diavoli incautamente evocati in successione dagli infelici innamorati Lelio, Guerindo e Orimberto. Le entrate e le uscite di scena sfruttano le vere porte dei due palazzi posti uno in faccia all'altro oppure la strada in fondo al lastricato di specchi - in questo caso costringendo i personaggi a corse accelerate data la lunghezza della superficie praticabile -, ovvero i lati della tribuna riservata al pubblico che chiude anche l'originale palcoscenico.

Un trattamento dello spazio improntato dunque a un'essenzialità assai suggestiva e pregnante che ne evidenzia al massimo grado la patina storica e ne valorizza le potenzialità significative e spettacolari. Al suo interno gli attori, a tratti figurine in un ambiente che tende a rimpicciolire e a fagocitare, sono costretti a ricorrere al microfono che, alterandone la voce, li proietta in un universo "altro" e, secondo un precipuo gusto barocco, affatto artificiale.

È proprio il "barocchismo" che contraddistingue certe situazioni all'interno della commedia di Andreini che più attrae Ronconi, artista da sempre propenso a soluzioni registiche improntate proprio alla ridondanza, alla variazione sul tema, all'innaturalità, al grottesco. Le parti più spensierate, e quasi selvaggiamente, "giocose" (un esempio lampante è la scena di magia) ovvero dichiaratamente "basse" (quali le tirades infarcite di doppi sensi persino troppo espliciti pronunciate dai servi) sono sacrificate - non tagliate ma ridotte oppure realizzate in sordina - tradendo l'originaria forsennata vitalità della Commedia dell'Arte cui, malgrado i tentativi di nobilitazione letteraria, Andreini in modo diretto e con orgoglio si rifaceva.

Il regista sceglie un'altra chiave di lettura, fra l'altro legittima dal punto di vista interpretativo, che potremmo definire di barocco straniamento: i personaggi recitano il proprio contorto sé e, allo stesso tempo, si atteggiano a tratti quali osservatori distaccati e fin ironici ovvero teneramente paternalistici delle proprie azioni. Emblematico il Mago cui Ronconi fa aprire lo spettacolo con una silenziosa entrata in scena, seguita da successivi ma altrettanto discreti spostamenti all'interno della scena: un osservatore esterno delle vicende, cui il trucco, che rimanda alle maschere di lattice già scelte dal regista in altri allestimenti (esemplare Strano Interludio e, di recente, anche Infinities), attribuisce una fisionomia indefinita e un'identità sfumata. Il suo intervento diretto nell'azione, infatti, è sentito quale la lacerazione di una veste che, sotto abiti da fool in possesso della verità, cela invece un furbo che sopravvive grazie alla credulità e alla disperazione altrui. Nel barocco niente è ciò che appare, anzi il gioco delle personalità multiple può farsi assai vertiginoso. E, nel caso di Andreini, non si tratta tanto di ricostruire l'identità dei personaggi (e l'unico episodio del genere, riguardante lo scambio fra Lidia e il fratello Eugenio, ha anche altre implicazioni), ma di seguirne il tortuoso percorso alla scoperta della propria tormentata sessualità.

Florinda - una fascinosa Mariangela Melato che assomma tutte le bravure e tutti i difetti della primadonna - è la fanatica e quasi isterica omofobica innamorata solo della propria immagine, ma anche la tenera amante di Lidia e, infine, la maliziosa seduttrice di Eugenio e, negli intervalli fra questi repentini e successivi passaggi, è anche l'attrice che ammicca al pubblico, confortandolo della inverosimiglianza della vicenda psicologica vissuta dal suo personaggio. Ciò risulta chiaro dalle variazioni nel tono della voce, ora dolce e quasi cantante (nelle scene d'amore, con sé stessa, con Lidia e poi con Eugenio), ora stridulo (nel rifiuto dei pretendenti ma anche come risposta al concreto buonsenso della serva Bernetta), ora dolcemente didascalico (allorché, quasi indirizzando un intenso sguardo di complicità in un'ipotetica macchina da presa, si astrae dal suo personaggio per rivolgersi agli spettatori).

Questo policromo registro recitativo contraddistingue, benché meno accentuato, anche l'interpretazione di Manuela Mandracchia di Lidia, la cui "psicologia" appare meno complessa e capricciosa. Completa il cast femminile Alvia Reale, una Bernetta scaltra e sicura di sé, resa con una padronanza dei tempi teatrali ammirabile. Se alle tre attrici sono richieste - e ottenute - prove di decisa maturità professionale nella capacità di trascorrere senza soluzioni di continuità da registri interpretativi addirittura antitetici (riflesso di una poetica della varietà e della confusione continua fra reale e fantastico), minore è stato l'impegno del regista nelle parti maschili.

Gli attori, la maggior parte molto giovani, forniscono prove mediamente incolori e comunque perdenti nel confronto con quelle femminili. Il conflitto uomo-donna, che è forse il tema-chiave della commedia e di cui Andreini raccoglie una raffinata casistica, risulta in tal modo sbilanciato a favore del femminile, un universo che forse Ronconi era più interessato a esplorare, fra l'altro ricollegandosi proprio all'autore che questo testo scrisse per le sue donne (la moglie e l'amante), le sue adorate Virginie.



Amor nello specchio
cast cast & credits
 
 
Palazzo dei Diamanti dell'architetto Biagio Rossetti (1447 c.a. - 1516)
Palazzo dei Diamanti dell'architetto
Biagio Rossetti
(1447 c.a. - 1516)


Mariangela Melato e Luca Ronconi
Mariangela Melato e
Luca Ronconi




Mariangela Melato
Mariangela Melato

 
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