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Ifigenia in Tauride all'Olimpico di Vicenza

di Carmelo Alberti
  Ifigenia in Tauride, affresco pompeiano
Data di pubblicazione su web 10/10/2002  
Di fronte allo spettatore le arcate del Teatro Olimpico di Vicenza appaiono come sollevate sopra un'uggiosa spiaggia, sulla quale s'infrangono le onde di un mare limaccioso: è il luogo, prospiciente il Tempio di Diana, in cui il regista Jacques Lassalle, con il prezioso aiuto dello scenografo-costumista Antonio Fiorentino, colloca Ifigenia in Tauride, la tragedia in cui Goethe riflette sulla complessità delle relazioni umane, ben al di là del confronto con il racconto mitologico.

La platea dell'Olimpico sembra una torbida distesa d'acqua, oltre la quale si apre un orizzonte esteso, che corre verso il vuoto, il nulla: un equilibrato gioco di luci agevola l'impalpabile caligine che avvolge il destino di cinque figure smarrite, mentre le musiche si traducono in un distillato arcaico di suoni e di voci. Il movimento della risacca segna l'andamento del tempo, che cresce e si placa in sintonia con lo stato d'animo dei personaggi. Per spezzare lo schema frontale della visione, Lassalle suggerisce ai suoi interpreti di disegnare una spirale di movimenti, ora lenti ora accelerati, sopra l'instabile e melmoso arenile che, cedendo, rende insicuri i passi di ciascuno.

La messinscena sviluppa una molteplicità di significati, anche al di fuori dalle intenzioni del grande scrittore tedesco. La maestria e la particolare sensibilità artistica di Lassalle producono un continuo lavoro di scavo entro le coscienze dei protagonisti, nelle loro inquietudini, alla ricerca del punto in cui la sensibilità e la ragione, la barbarie e la civiltà si scontrano implacabilmente. Nel fondo dell'animo di questi esseri, che hanno già stabilito una netta distanza con il mondo degli dèi, s'infrangono impetuosamente le antiche certezze, la fede nel potere divino, persino l'integrità del ruolo sacerdotale, come accade a Ifigenia, la vergine votata per sempre al culto della dea, al punto da identificarsi con il suo simulacro; persino i tormenti delle furie - come accade a Oreste, approdato in Tauride con l'amico Pilade dopo aver ucciso Clitennestra, sua madre, per vendicare l'assassinio del padre Agamennone - si tramutano in morsi d'insania generati dall'orrore per un matricidio consumato senza convinzione.

La mutevolezza del progetto di Lassalle si traduce nel tentativo di rendere dissonante la voce del tormento e del dubbio; è una dissonanza tutta francese, che tende alla cantilena, insiste sulle cadenze, tramuta le parole in sussurri. Tali elementi stridono - volutamente - con la solennità del discorso tragico, lo trascinano nel vortice della contraddizione, nel delirio, nella morbosità di un mal celato desiderio. Ifigenia resta al centro di una intricata rete di relazioni ambigue e incerte, oscillanti fra la tenuta della purezza e la paura d'inabissarsi nel baratro; come accade nell'efficace scena in cui Oreste, in preda a furiose allucinazioni, è strappato dal risucchio del mare per l'intervento dell'inseparabile Pilade. Per Lassalle l'Ifigenia di Goethe contiene in sé un anelito verso la libertà simile a un soffio diffuso che divora, che brucia gli animi, perché c'è sempre in agguato un legame, una promessa, un'insidia che, di colpo, possono annullarla. È anche la libertà di amare con lo sguardo aperto, con la fronte sgombra dai crucci.

Si comprende come il lavoro sull'interpretazione sia stato serrato, sebbene i risultati appaiano discontinui, anche per l'inesperienza e per la fretta con cui oggi si tende ad abbracciare il mestiere dell'attore. La complessità del testo e della regia richiedevano non solo una buona dose di energia fisica, ma soprattutto un incredibile controllo espressivo. Il bravo Andrea Giordana dona al possente Toante, re della Tauride, le lingue della passione e dell'ira, riuscendo a raggelare in un'intensa fissità la bella immagine conclusiva, descritta tra sofferenza e amore. Gaia Aprea fa del suo meglio nel ruolo di Ifigenia, sospesa in un'incerta età, trepidante per la sorte di uno sperduto Oreste, recitato da Daniele Salvo, e di un candido Pilade, affidato all'apprezzabile Alberto Fasoli; completa i personaggi, l'indistinto Arcade di Massimiliano Sbarsi.

Ifigenia in Tauride
cast cast & credits
 
vd. anche Ifigenia in Aulide
 
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