Dispiace aggiungersi al coro di commenti negativi che sono seguiti alla proiezione del nuovo film di Vincenzo Marra, Lora di punta, qui alla Mostra di Venezia. Dopo la deludente prova degli altri due film italiani in concorso, Nessuna qualità agli eroi e Il dolce e l'amaro, si sperava nel film del giovane e capace regista napoletano per risollevare il triste bilancio del cinema italiano in questedizione della Mostra. E invece arrivato anche il terzo flop a sgombrare definitivamente il campo dai dubbi: nessuno dei tre film nostrani, probabilmente, era allaltezza di una gara in cui si sono misurate le eccellenti prove di registi dal lungo corso come Rohmer, Greenaway e De Palma e quelle solidissime di altri più o meno giovani nomi di punta del cinema contemporaneo come Haggis, Branagh, Haynes e Kechiche.
A volte la critica pecca di eccessiva indulgenza nei confronti della nostra nuova generazione di registi, eppure il Marra di Tornando a casa (2001), Vento di terra (2005) e Ludienza è aperta (2006), seppur con alcune riserve, era sembrato uno dei nomi più vitali del nostro nuovo cinema, se non altro per la profusione dimpegno politico-sociale mostrato nel costruire film che parlassero in maniera rigorosa e accattivante dellItalia di oggi. E stata probabilmente la stessa operazione che il regista napoletano ha voluto ripetere per Lora di punta, abbandonando la rappresentazione degli ultimi (gli zingarelli di Roma, i pescatori di Scampia e i disoccupati di Secondigliano), e spostandosi verso la borghesia cittadina, quella delle scalate socio-finanziarie, quella che nellestate del 2005 ha assunto il triste volto dei Ricucci, dei Consorte, dei Fiorani e di tutti i "furbetti del quartiere" che hanno tentato con mezzi discutibili importanti operazioni finanziarie allombra dei palazzi del potere. In effetti il personaggio protagonista del film, Filippo Costa (Michele Lastella), sembra proprio essere tagliato sulla figura di questi personaggi, simbolo di unItalietta che ha il terrore di vivere nellanonimato, sentimento diffuso in gran parte del Paese, alimentato soprattutto dai modelli televisivi che hanno accompagnato la rivoluzione antropologica del berlusconismo.
Il "buon" Filippo, infatti, giovane agente della guardia di finanza, di modesta estrazione sociale, cove unenorme ambizione che lo tiene a distanza dai suoi colleghi e dalle sue stesse origini. Allinizio pensa di far carriera allinterno del lavoro che si è scelto, poi però quando si trova a confrontarsi direttamente con la corruzione capisce che può mirare molto più in alto. Nella sua irresistibile ascesa fatta di denaro e potere viene aiutato da una colta, ricca ed elegante donna più grande di lui (Fanny Ardant). E proprio grazie a lei che Filippo entra in contatto con il mondo della politica, delle banche e dellalta finanza e inizia la scalata a uno stato sociale economicamente sempre più prestigioso. Ma per non essere schiacciato dalle ciniche regole del modo di cui è entrato a far parte, Filippo è costretto ad abbandonare ogni ulteriore residuo di remora umana (abbandona per sempre la sua ragazza-amante, una commessa interpretata da Giulia Bevilacqua) e morale (arriva perfino a ordinare un omicidio).
Lora di punta, nonostante abbia lambizione di rappresentare un esemplare spaccato di società ripugnate e corrotta, rivela in realtà fragilità di ogni genere; la messinscena è di un didascalismo noioso, totalmente asservita e mortificata dagli eventi narrati e non basta qualche movimento di macchina (peraltro abbastanza prevedibili, come la lunga panoramica finale che va dalla finestra di Filippo alla veduta della città) a stemperare un montaggio scenico che a volte ha dellimbarazzante (si vedano la sequenza dellincontro di Filippo con la donna, a cui ne segue unaltra in cui i due finiscono subito a letto). Ciò rafforza limpressione di sufficienza, di pressappochismo con cui Marra ha diretto lopera: si sente una certa voglia di fare "presto", di raccontare tutto e subito, senza però riuscire a creare un adeguato ritmo; il film risulta così carente nella caratterizzazione dei personaggi, in primis quello di Filippo. Privo di sfaccettature, monolitico e sempre uguale dallinizio alla fine (e a ciò contribuisce la monocorde interpretazione dellinesperto Lastella), questa figura di carogna sembra esser lì quasi per caso, come del resto lo è la donna interpretata da unArdant veramente giù di tono, costretta a ricorrere ai suoi più lacrimevoli sorrisi da repertorio. Fiacco, stanco e ripetitivo, privo del mordente giusto, Lora di punta costituisce un pericoloso campanello dallarme; certo a tutti può capitare di sbagliare un film, ma se questi errori li fanno i registi su cui si sono riposte le speranze, forse il cinema italiano ha di che riflettere.
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