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Il ritorno di Django

di Marco Luceri
  Sukiyaki Western Django
Data di pubblicazione su web 07/09/2007  

In una Mostra che quest'anno ha voluto omaggiare con una corposa retrospettiva il western all'italiana, genere tornato in voga negli ultimi anni nel cinema americano (grazie soprattutto a Tarantino) e orientale, sarebbe stata forse una beffa non avere in concorso un film di uno dei tanti registi che di quella stagione si sentono gli epigoni. È il caso del giapponese Miike Takashi, autore cult diventato famoso nel 1999 con Dead or Alive, che per il suo ultimo film scomoda Django, il celebre pistolero portato sugli schermi da Sergio Corbucci nel 1965.

Sukiyaki Western Django
, che si apre con una scena in cui protagonista assoluto è, da attore, proprio Tarantino, con tanto di sigaro e poncho alla Eastwood vecchia maniera, leggendario maestro della pistola facile, che anticipa, in un teatro di posa dal fondale dipinto, il sangue e le violenze che saranno prontamente servite allo spettatore. A centinaia di anni, infatti, da questa celebre battaglia di Dannoura, i clan dei Genij e degli Helke si fronteggiano di nuovo in una povera città di montagna, in cui aleggia la leggenda di un tesoro sepolto. Yoshitsune comanda i suoi Genij vestiti di bianco, mentre Kiyomori capeggia gli Heike, in abiti rossi. Un bandito solitario (Momoi Kaori), oppresso da un carico di ferite emotive e dotato di un incredibile talento, giunge per caso nella città. Le aspettative entrano in contrasto quando i personaggi principali si chiedono a quale gruppo si unirà il bandito. Trucchi sleali, tradimenti, desideri e, infine, l’immancabile storia d’amore, si susseguono in maniera caotica, rutilante, velocissima finchè la situazione non esplode in un chiarimento conclusivo.





Il film di Miike Takashi è dunque un illuminante caleidoscopio su dove un'importante fetta del cinema contemporaneo sta andando: la poetica del pastiche, delle citazioni (tantissime, da Leone a Peckinpah), dello scorrere incessante di situazioni, immagini, effetti speciali, ralenti, didascalie, musiche di repertorio, il tutto frullato con elementi propri della cultura nazionale, tutto ciò che cioè costituisce istanza attrazionale sembra ormai essersi imposto in questo tipo di cinema, che in molti definiscono con la vaga aggettivazione di post-moderno.

Eppure sembra che ormai il gioco si sia spostando molto oltre, rischiando di portare quella che all'inizio sembrava essere una poetica, forse la poetica cinematografica più adatta all'onnipotenza visiva dei nostri tempi, verso delle secche dalle quali sarà difficile prendere il largo. Un esempio? La violenza, tratto essenziale e costitutivo di film come questo, così presente, così esibita in ogni minimo dettaglio, così cercata anche, oltre la sua stessa sufficienza, così forzatamente esibita, rischia spesso di annoiare, di essere priva, alla lunga, di quel minimo di stupore e di spavento capaci di eccitare gli occhi dello spettatore, e di essere perciò attrazione.

È come se questo cinema, già dichiaratamente finto, come finti sono i fondali all'inizio di Sukiyaki Western Django, e per sua natura stessa parodico, diventasse una pericolosa e avvilente masturbazione per cinefili incalliti alla ricerca di un epos buono per una divertente serata con gli amici e niente più. Lo stesso Tarantino, padre di questo ormai "genere", sembra essersene accorto, e il sottovalutato Grindhouse - A prova di morte è invece proprio il tentativo di uscire da questo cono d'ombra: l'autoparodia, unita a un processo di svuotamento narrativo del personaggio (proprio ciò che non riesce a Miike Takashi) riporta un po' di freschezza e di respiro a un cinema che altrimenti rischierebbe solo, dopo i furori iniziali, di fare la fine di Django. Quello vero.




Sukiyaki Western Django
cast cast & credits
 





La locandina del film











Il regista Miike Takashi
 
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