“Tutti vivi laggiù?” era lironica apostrofe dei loggionisti alla platea, tanti anni fa quando si faceva Wagner nei teatri italiani, supponendo che “laggiù” fossero storditi dalla sovrabbondanza di suoni e di emozioni della musica, o dormienti come Brunilde dopo lincantesimo di Wotan, o quanto meno – altra tipica modalità dellutente wagneriano non perfettamente temprato - in stand-by durante quei lunghissimi monologhi o dialoghi che sono, sì, i veri depositari della filosofia dellAnello, come Wotan-Brunilde poi Wotan-Fricka e di nuovo Wotan-Brunilde, il secondo atto della Valchiria, però, però, però...
Ma niente di tutto questo è successo questa volta a Firenze. Andavano su le due prime parti del Ring, prologo e prima giornata, Oro del Reno e Valchiria, nelledizione Zubin Mehta-Fura dels Baus coprodotta dal Maggio Musicale Fiorentino e dal Palau de les Arts “Reina Sofia” di Valencia, dove erano già andati su qualche settimana fa. Tutto esaurito sempre e trionfale lesito al Comunale, che da lungo tempo aspettava da Zubin Mehta questo suo secondo Ring fiorentino, dopo ledizione Ronconi-Pizzi di quasi trentanni fa, giacché lAnello del Nibelungo è la sfida più affascinante per un teatro. Non solo per lOro del Reno – lì è relativamente più facile - ma anche per la sterminata Valchiria, solitamente nota come tomba dei registi, testimoniamo che in capo a cinque ore il pubblico era assolutamente sveglio, come proteso in avanti, in attesa, catturato, gli piacesse fino in fondo o no, nella “meccanica della meraviglia” che la Fura è riuscita a creare, rivitalizzando il concetto wagneriano di opera darte totale con il suo linguaggio e stile di teatro contemporaneo.
L'Oro del Reno. Le figlie del Reno e Alberico
Il risultato è un Ring estremamente nuovo e insolitamente divertente, fra tecnologia, fantascienza, videoarte, persino la realtà virtuale dei videogiochi nel racconto visivo della fuga di Siegmund uomo-lupo, proiettato su un velo trasparente a proscenio per commentare la tempesta orchestrale con cui si apre la Valchiria. Ma il Ring della Fura non è teatro tecnologico e basta, cè anche unestrema concretezza di teatro agito e vissuto, con macchine azionate da macchinisti che si vedono, corpi, lacqua e il fuoco veri. Già Wagner aveva pensato alla possibilità di far volare i suoi dèi, ma le macchine da volo manovrate dai robusti e veloci grueros della Fura – resurrezione della mechané del teatro classico e delle invenzioni scenotecniche della festa teatrale rinascimentale e barocca - non si contentano di qualche movimento di ascesa e discesa, solenne e composto, e fanno turbinosamente ruotare, librare e ondeggiare Asi e valchirie, fin sulla buca dellorchestra, fin quasi ai parapetti delle ali delle gallerie. I giganti Fafner e Fasolt sono realmente tali perché issati su grandi protesi metalliche da mostri fantascientifici, che ricordano i carri armati-dinosauri di Guerre Stellari. Anche le discese e ascese degli dèi nel mondo e dal mondo degli uomini sono evocate con lo stile dei classici della fantascienza, Loge viaggia su un monopattino a motore che interpreta con il suo movimento il ronzìo sornione del motivo conduttore con cui Wagner allude al dio-demone inafferrabile, ambiguo e distruttore come lelemento di cui è il signore. Allinizio dellOro del Reno le ondine si rotolano nella vera acqua delle loro vasche cubiche, alla fine della Valchiria un vero fuoco circonda Brunilde, propagandosi fra le fiaccole dei figuranti proni che portano il grande cerchio inclinato su cui Wotan ha addormentato Brunilde, mentre le pareti rocciose intorno sono evocate dal video, così come i video hanno mostrato, nel corso delle due serate, cieli, lave, tempeste cosmiche, eclissi, il globo terracqueo così come lo vedono gli dèi dal loro cielo, lanello del dominio che ruota incessantemente. Ruota nellaria, evocata da Sieglinde, anche limmagine luminosa della spada di Wälse-Wotan infissa nellalbero della casa di Hunding, lalbero che poi si trasforma in un totem luminoso e ruscellante di luci e rune misteriose - giustamente: la Fura suggerisce che è il doppio terrestre del “frassino del mondo”, perno delluniverso della cosmologia nordica, da cui Wotan ha strappato il ramo con cui ha fatto la sua lancia – ma poi anche rifugio di uccelli e uccellini da cartoni animati nella scena dellamore dei Velsunghi.
L'Oro del Reno. Il finale
Per chi scrive il Ring ha sempre funzionato così, come un grande sogno, e stavolta anche di più. Per i wagneriani più intransigenti e puristi ci sarà stato anche da meravigliarsi per come questa messinscena manovra alla grande lingenua fame di realtà o, al contrario, di meraviglia, del pubblico, lingenua mitologia della fantascienza e del mondo fantasy. Ma perché non dovrebbe farlo ? il mito appartiene allinfanzia delluomo e il Ring è il capostipite di tutte le rivisitazioni moderne dei miti nordici. Forse cè più racconto che pensiero in questo Ring della Fura, ma cè comunque pensiero. Si tratta di decifrarne i simboli. Pensiamo ai corpi-oro, prodotti in catena di montaggio nellofficina di Alberich nel terzo quadro dellOro (un omaggio a Fritz Lang e al suo cinema espressionista), e poi ammassati per pagare ai giganti il riscatto per Freia; al grande pendolo che oscilla come lincensiere gigantesco di Santiago di Compostella e che è formato dai cadaveri dei guerrieri che poi le Valchirie recheranno al Walhalla, nel secondo atto della Valchiria; prima ancora, alla straordinaria torre umana di acrobati che evoca il Walhalla alla fine dellOro. Altro non sono, nel comporsi di arti umani che si congiungono, che corpi che danno corpo allimmagine grafica delluomo pensante, disegnata a sua volta da un reticolo di corpi umani, che si delinea sullo sfondo fra il primo e il secondo quadro dellOro, dal disgregarsi dellimmagine innocente e inquietante insieme del feto doro che campeggiava, enorme, sullo sfondo del primo quadro: divinità, pensiero, culto, valore, dominio sono fatti da uomini, legano gli uomini, ne fanno materiale per la civiltà, le sue composizioni, i suoi compromessi, i suoi disagi. Un feto è fatto per essere partorito e dunque il bambino doro aspetta il furto maieutico di Alberich: non possiamo forse più credere allinnocenza primigenia delloro prima della “tragedia dellaccumulazione”, del furto delluomo alluomo, quel Prima della Storia a cui certo pensava Wagner, nel momento cruciale della concezione dellAnello, quando era un rivoluzionario, influenzato dal pensiero dellamico Bakunin, condannato in patria e esule dopo i moti del 49 a Dresda.
La Valchiria. Atto I
Limpressione dello spettacolo, in definitiva, è di una geniale scoperta di Wagner in cui ci si è lasciati conquistare in pieno dalla forza del mito, immergendovisi con una freschezza e una mancanza di inibizioni assolute, ma, lo ripetiamo, senza mancare, per quel che ci riguarda, lappuntamento con il senso e le profondità dellAnello. Può darsi che poi Sigfrido e Crepuscolo degli Dèi vadano per altre strade: dovremo aspettare il 2009 per dirlo. Ma da quello che si è visto finora, il risultato è qualcosa di realmente nuovo rispetto alle messinscene dellAnello degli ultimi quarantanni, improntate in casi rari ma comunque significativi – al Metropolitan ad esempio - ad unimpossibile fedeltà al gusto rétro, molto più spesso a variazioni sul tema dellAnello come saga e anche psicanalisi del potere (il Ring Boulez-Chéreau del centenario a Bayreuth), se non dellaccumulazione capitalistica tout-court, con tanto di Wotan-Krupp in finanziera (questultima, del resto, è una visione che ha una tradizione importante, per cui, volendo, si potrebbe risalire ad un classico della letteratura wagneriana, Il wagneriano perfetto di George Bernard Shaw, dove questa visione dellAnello come grande saga antiborghese è espressa con chiarezza anche se con humour) e una cassazione pressoché completa dellelemento propriamente mitico. Fossimo il Teatro del Maggio ce lo terremmo caro questo Ring, e ce lo terremmo stretto, riproponendolo ciclicamente a Firenze - nonostante le difficoltà dei teatri dopera non vogliamo credere che si ometterà di riproporlo tutto nel 2010 comera stato promesso - e magari portandolo in tournée.
La Valchiria. Atto III, La cavalcata delle Valchirie
A Zubin Mehta va il merito di aver voluto, si può dire preteso questo suo nuovo Ring a Firenze, anzi, se sono veritiere le indiscrezioni e gli echi della stampa, di averlo posto come condizione per la sua permanenza a Firenze. La principale scommessa è una riscossione degli interessi del proprio più che ventennale lavoro fiorentino come direttore principale, in forma di proposta di prologo e prima giornata con un solo giorno di riposo nel mezzo, e bisogna sapere cosa sia per unorchestra suonare Wagner per rendersi conto del valore di una simile performance professionale per un complesso sinfonico specialmente italiano. Lorchestra ha reagito validamente, con il suo suono più fiammeggiante e aguzzo e forse meno morbido, solenne e “brumoso” del suono wagneriano doc, o preteso tale, fornendo una prova nel complesso encomiabile. Oramai Mehta lo conosciamo bene, e, così come non ci ha sorpreso il suo Rheingold oggettivato, quasi spogliato di eloquenza, quasi volesse lasciare il primo piano alla messinscena, nemmeno ci ha sorpreso vederlo due sere dopo, appena salito sul podio, attaccare dimpeto la Tempesta e riprendersi dautorità il ruolo di protagonista assoluto nella Valchiria, in una chiave romantica di lirismo intimo ma pieno di profondo slancio e vibrante di accensioni tempestose al momento giusto, come appunto nella Tempesta iniziale, ma senza concessioni di sorta al kitsch wagneriano più consueto e scontato, ad esempio nella Cavalcata. Nellintimo e seducente intrecciarsi fra gli archi dei temi dei Velsunghi, Siegmund e Sieglinde, il primo atto di Valchiria ci è sembrato una delle cose migliori, più trascinanti, che Mehta abbia mai fatto con la sua orchestra di Firenze, ma ciò che più ci ha impressionato, in questo direttore non facile a lasciarsi andare, è stata la lettura in profondità, calibrata ed insieme profondamente commossa e partecipe, di tutta la parte di Wotan, interpretata in una chiave tormentata e finalmente struggente nel finale, laddio a Brunilde. Qui Mehta non solo ha messo laccento in modo originale sulla figura centrale dellAnello, ma si è valso al meglio delle peculiarità vocali e attoriali dellottimo Juha Uusitalo, Wotan vichingo e lungocrinito di grandiosa presenza, statuario ma tuttaltro che statico, anzi naturalmente propenso per fisionomia vocale e disposizione attoriale ad accentuare i tormenti del dio, il migliore del cast, comè giusto che sia nellOro e nella Valchiria. Nel complesso i cast wagneriani soffrono attualmente gli stessi problemi di quelli verdiani, e cioè ci sono meno voci “grandi”, e mancano un po dincanto, di mistero. Questo non faceva eccezione, ma tutti erano così coinvolti, convinti, partecipi che il risultato è stato buono comunque, come si è visto dagli applausi che hanno premiato tutto il cast, ma in particolare, oltre al Wotan di UUsitalo, Siegmund e Sieglinde, Peter Seiffert e Petra Maria Schnitzer, con il giusto tributo al veterano wagneriano Matti Salminen (Fasolt nellOro e Hunding nella Valchiria) e alla prova di coraggio, nel lanciare il suo “Heiaha Heiaha Hojotoho” dalla macchina volante, della Brunilde di Jennifer Wilson, forse un po fragile per i gridi di guerra dellamazzone, ma convincente negli aspetti più filiali e soavi del personaggio.
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