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Attila

di Giovanni Fornaro
  Attila
Data di pubblicazione su web 02/07/2007  
Che Attila, dramma lirico in un prologo e tre atti su libretto di Temistocle Solera, (completato da Francesco Maria Piave) tratto da Attila re degli Unni di Zacharias Werner, musica di Giuseppe Verdi, sia un titolo non propriamente inserito nel repertorio più frequentato è cosa nota a tutti i melomani, sebbene se ne ricordino almeno due recentissime versioni allestite in area meridionale italiana, al San Carlo di Napoli e al Politeama Greco di Lecce.

Quanto sopra per spiegare l'interesse emerso in occasione della rappresentazione barese dello scorso 8 giugno, replicata il 10, nella inedita location dello Spazio 7 della Fiera del Levante, frutto di un accordo fra l'Ente Fiera e la Fondazione Petruzzelli e Teatri di Bari, di cui l'Attila verdiano costituisce una produzione diretta.



Prima della musica però, che in un'opera lirica in forma di concerto costituisce (quasi) la forma unica cui attingere per penetrare nei suoi meandri drammaturgici, è necessario testimoniare di un palpabile sentimento di scetticismo in merito all'acustica ottenibile in tale contesto, nel quadro di una dimensione totalmente priva di amplificazione e, quindi, di equalizzazione. La soluzione approvata dal sovrintendente Giandomenico Vaccari si è concretizzata nella costruzione di una efficiente "camera acustica" costituita da poderosi pannelli fonoassorbenti che sui tre lati del palcoscenico avvolgono gli spazi riservati a cantanti e strumentisti, nonché nella presenza di altri elementi concavi e convessi collocati alle spalle del folto pubblico. L'azione combinata di tali artefatti acustici rendeva il suono limpido e fruibile in ogni angolo della grande sala e per ogni suo componente, dalle singole sezioni orchestrali al grande coro, sino a ognuno dei sei cantanti solisti, pur collocati in secondo piano, fra l'orchestra in primo piano e la compagine corale.

Attila vide la sua "prima", forse non occasionalmente, proprio nella città che dai fatti ivi narrati trasse il suo mito fondativi: Venezia, teatro La Fenice, 17 marzo 1846. È opera, come è noto, appartenente al primo periodo della produzione verdiana, che affiancava all'attenzione per la vocalità e a una certa semplicità schematica dell'orchestrazione una crescente tensione drammatica, foriera di ulteriori, più pregnanti e famosi sviluppi. Nonostante la scarsa diffusione nei teatri contemporanei, Attila stupisce per una partitura francamente bella, a tratti degna del Verdi più "popolare" - penso al Rigoletto, ad esempio - in cui il ruolo del titolo, raro caso di basso come protagonista principale nel melodramma italiano, riesce, se correttamente interpretato, a entusiasmare la platea. Cosa puntualmente avvenuta a Bari, grazie alle indubbie doti vocali e interpretative - nonostante la forma non scenica, come si diceva - di Michele Pertusi, un Attila grintoso ma mai trasbordante, che suscita in verità più simpatia che repulsione, compreso nel suo ruolo fino a strappare l'applauso a fine di aria (una per tutte: Oltre quel limite) o di cabaletta, forma musicale, questa ultima, abbondantemente presente nell’opera.



Antagonista/amante, nonché ottimo contraltare drammaturgico-musicale del protagonista, è il personaggio femminile di Odabella, vergine di Aquileia, interpretata dal notevole soprano Andrea Gruber, a proprio agio nei difficoltosi funambolismi che la partitura talvolta riserva al suo ruolo, grazie a esperienza (ha già interpretato la parte, in passato), una voce ampia e ad un timbro deciso e passionale.

Gustavo Ariel Porta, tenore argentino molto limpido nell'esposizione, ha ben figurato nel personaggio complesso personaggio di Foresto, soprattutto nei duetti e nell’aria Infida! del terzo atto, che tiene fede al proprio incipit.

Precisi e compresi nel ruolo il baritono Giovanni Meoni (Ezio), il tenore Gianluca Flores (Uldino) e il secondo basso Pietro Naviglio nella breve ma interessante interpretazione di Leone.



Fondamentale, nell’economia di questa opera verdiana, è il coro, in questa rappresentazione barese quello residente diretto dal bravo Franco Sebastiani che ha perfettamente interpretato le intenzioni di semplicità ma anche di fascinosa suggestione melodica dell’autore. Quale direttore della Orchestra Sinfonica della Provincia di Bari è salito sul palco l'attento ed incisivo Renato Palumbo, attuale general musik director della prestigiosa Deutsche Oper di Berlino e ben noto in tutto il mondo. Palumbo ha tratto dalla ottima orchestra tutto il colore necessario a un melodramma come questo, esaltando sfumature che non ci si aspetterebbe da un'opera verdiana tutto sommato giovanile, quindi ancora non pienamente matura come quelle del successivo più noto trittico.

Nato sotto auspici non esaltanti - per la forma non scenica e per la location, come ho già riferito in precedenza - questo Attila della Fondazione Petruzzelli in forma di concerto ha sinceramente stupito i neofiti e interessato, per le indubbie qualità interpretative, i conoscitori di una partitura che andrebbe riscoperta e, magari, svecchiata da allestimenti iconograficamente troppo prevedibili (gli Unni, i Romani, elmi e spade, coppe avvelenate ecc.) attraverso la scossa di un regista coraggioso (penso ad esempio a Davide Livermore).

 


Attila
di Giuseppe Verdi
Fiera del Levante di Bari



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