Il pieno successo della Salome di Richard Strauss presentata alla Scala nelledizione del festival di Salisburgo con la regia di Luc Bondy e sotto la direzione ferma e assai sonora di Daniel Harding segna un punto sicuro a favore della nuova direzione, riformista e non precipitosa, del nuovo direttore artistico e sovrintendente Stéphane Lissner, che sta tastando il polso del suo pubblico senza provocazioni né fughe in avanti ma con un repertorio piuttosto vario.
Iris Vermillion (Herodias) e Peter Bronder (Herodes)
Lallestimento di Luc Bondy, benché commissionato nellarea delle temibili provocazioni registiche salisburghesi, è sobrio e unificante: la scena di Erich Wonder, desolatamente priva degli orpelli e delle seduzioni della terrazza dei giardini della reggia di Erode, luogo unitario dellazione delle quattro scene dellopera, è una geometria possente di materiali aspri e metallici, di squarci sfondati che alludono al molto “fuori scena” che fa da continuo controcanto alla vicenda. Allinterno si svolgono forse festose libagioni ma allesterno le predizioni sono tutte fosche. Sì che quando, come in ogni consumata opera teatrale, il personaggio eponimo entra, tutto è già in qualche misura chiarito e condotto su una strada senza troppe vie di fuga. La scenografia non è, per una volta, né inutilmente tradizionale, né sfacciatamente coercitiva, creando il giusto clima di cupa attesa. E rispettando, soprattutto, quella drammaturgia sonora che stabilisce i piani dellazione prima che i protagonisti entrino in scena: la vergine Salome e il suo antagonista Jochanaan, prima di essere presenze sceniche, si inverano nella sostanza della musica, lei descritta poliedricamente dalle guardie di turno (“comè bella questa notte la principessa Salome” è il primo sospiro dellinnamorato Maraboth), lui segnalato dalla voce possente, deformata dal rimbombo nei recessi bui della prigione (“dopo di me verrà uno più potente di me”).
Esordio irresistibile che, ben al di là dei decadentismi fin de siècle cha avevano fatto della figlia di Erodiade e della sua vendetta la loro insieme sconvolgente e stucchevole eroina, segna drasticamente la novità dellopera ben al di là della sua fedeltà testuale allopera scritta in francese da Oscar Wilde (il compositore aveva in un primo tempo pensato ad una intermediazione librettistica, rivolgendosi poi alla traduzione tedesca di Hedwig Lachmann), portando ai limiti estremi la capacità rappresentativa e lanalisi sonora del poema sinfonico. La persistenza ossessiva di alcuni motivi trasforma in musica il carattere isterico ed estremo di questa vergine implacabile fino alla follia. E questa follia serpeggia per tutta lopera, ben più temibile dei giochi di potere e di seduzione giocati dagli altri protagonisti (la perfetta Erodiade di Iris Vermillion, istigatrice della figlia a cui a tratti si sostituisce come un doppio malefico, algida e insinuante nella sua feroce eleganza mondana, Peter Bronder, Erode un po parodico ma la cui prestazione impeccabile rende però appieno sia il capriccio del desiderio erotico che linadeguatezza di fronte alla determinazione di morte della figliastra che, dopo la famosa danza dei sette veli, chiede implacabile il compenso pattuito).
Nancy Gustafson (Salome)
Nei ruoli protagonistici Nancy Gustafson e Mark Steven Doss (li abbiamo ascoltati nella replica del 18 marzo) rendevano con grande efficacia labissale distanza del mondo del capriccio da quello della fede: roccioso e monolitico (imponente anche vocalmente) il baritono, capricciosa, seduttiva, infantile il soprano (la cui voce veniva in alcuni momenti coperta da unorchestra un po invadente). Seguendo le indicazioni del compositore, sempre più insistenti man mano che il successo dellopera la rendeva accessibile ai più, la regia Bondy ha brillantemente evitato le volgarità spogliarellistiche della danza dei sette veli consentendo allaggraziata protagonista anche nel difficile exploit una performance elegante ed allusiva, castigata e rituale.
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