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Due volti del tragico

di Erica Fialà
  Oedipus Rex
Data di pubblicazione su web 19/03/2007  

Il Teatro Regio di Torino ha scelto con audacia di presentare in dittico Oedipus rex di Igor Stravinsky e Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni. La regia dei due nuovi allestimenti è firmata da Carlo Angiò. L’Oedipus rex torna così a Torino, per la seconda volta in forma scenica dopo l’allestimento del marzo 1966. Altre quattro sono state le edizioni torinesi che si sono succedute a partire dal 1950 ma tutte in forma oratoriale.

 

Nell’opera-oratorio di Cocteau-Stravinsky la rievocazione della classicità è un’operazione del tutto intellettualistica che impedisce al pubblico qualsiasi coinvolgimento emotivo (la lingua latina contribuisce ad aumentare la distanza). Ciò che importa è far rivivere il mito attraverso il mito senza mediazioni di alcun tipo: esso ha un fine simbolico ed è fissato scenicamente e musicalmente in una prospettiva eterna. Il sipario si apre mostrando un imponente cumulo di marmi e rovine che si confondono con il coro dei supplici tebani ed i cadaveri della pestilenza. Nel melodramma verista in un atto unico lo scenario siciliano è inizialmente coperto da una nebbia avvolgente, poi appare un terreno arato e un mare di arance. I volti del popolo parlano ed esprimono da soli tutta la loro esasperata commozione. Ogni altro elemento scenografico è lasciato all’immaginazione col supporto di proiezioni video che riproducono processioni religiose girate negli anni ’50: tutto scorre sopra un palcoscenico semivuoto.

 



Sono i riti di due società mediterranee arcaiche profondamente legate alla propria terra e alle proprie tradizioni ad essere evocati: fortissimo è il comune sentimento del tragico. Stravinsky recupera la modalità gregoriana (tipica della ritualità greco ortodossa) e le sonorità bizantine. La scelta linguistica è significativa: il testo di Cocteau è tradotto da Jean Daniélou in un latino di uso ecclesiastico. Anche in Cavalleria la preghiera pervade l’opera fin dal preludio (in cui gli archi suonano pianissimo “dolce religioso”) ma qui si alterna a melodie tipicamente popolari che si fanno portavoce del desiderio sensuale. In entrambi i casi un delitto costituisce il momento cruciale dell’intreccio.

Certo lontanissime la poetica dei due autori, la forma e l’atmosfera delle due opere che compositivamente distano una trentina d’anni. Il Neoclassicismo di Stravinsky mira a creare un’atmosfera statica e solenne. Siamo in una delle fasi di maggiore audacia e coraggio intellettuale del musicista che con questa scelta poetica prende le distanze dal Romanticismo e dalle sue propaggini simboliste per orientarsi verso uno stile asciutto e lineare privo di ampollosi sentimentalismi. Nella forma dell’oratorio handeliano (successione di numeri “chiusi”: arie, duetti, recitativi, coro) la musica procede per blocchi tonali massicci e ritmicamente serrati creando un clima di straniante allucinazione: è da qui che emerge la tragicità del destino cui sono sottoposti i personaggi del dramma. Un narratore in frac (Marco Baliani) scandisce come un celebrante ogni fase della vicenda permettendo agli spettatori di concentrarsi solo sulla musica. Il coro ed i cantanti solisti ci appaiono come un “bassorilievo parlante” dall’imponenza granitica in cui i personaggi possono muovere soltanto la testa e le braccia e sono trasportati sulla scena da pedane scorrevoli. 
 



Nel capolavoro verista di Mascagni invece, il fluire della linea melodica enfatizza ogni moto dell’anima e si riversa sulla platea con calore e sensualità. I personaggi si muovono con una mimica eloquente e ben marcata (liberi nello spazio scenico quanto quelli dell’Oedipus erano cristallizzati sullo sfondo). Mimmo Paladino, artista di punta della Transavanguardia, pone al centro della scena di Cavalleria un enorme pilastro nero, una sorta di Totem, che ruota mostrando al suo interno teschi e croci. Per gran parte dell’opera resta proiettato sul lato destro dello sfondo il volto di un uomo deformato da un grido come il monito di un avvenimento terribile: è soltanto uno dei molti scatti fotografici di Fernando Scianna che insieme alle riproduzioni video curate da Luca Scarsella arricchiscono la scenografia minimalista di Cavalleria.




Giocasta e Santuzza, due personaggi femminili entrambi vittime, sono interpretate dal mezzosoprano ungherese Ildiko Komlosi e da Mariana Pentcheva (nel secondo cast, in scena nella rappresentazione da noi seguita, n.d.r.). I loro gesti autolesionistici rispecchiano il peso insostenibile degli eventi. Ma se il destino di Giocasta è stato stabilito dagli dèi, quello di Santuzza è mosso dalle altrettanto incontrollabili passioni umane. Tra gli altri solisti il tenore John Uhlenhopp nelle vesti di Edipo il cui primo intervento sulla scena in un baldanzoso mi bemolle maggiore (tonalità del fasto, dell’autorità e del potere dell’uomo sulle cose) prelude un’inevitabile punizione della propria hùbris. Ma al centro della vicenda gli autori non hanno voluto porre Edipo né nessuno degli altri personaggi bensì il destino fatale e inafferrabile che si abbatte sull’individuo, portatore di un’esperienza universale. I due baritoni Lucio Gallo e Angelo Veccia si alternano nell'interpretazione di Creonte e Alfio, indubbiamente penalizzati nell’Oedipus dalla scelta registica di essere collocati come gli altri personaggi in fondo alla scena. Un tenore del calibro di Walter Fraccaro è affiancato da Renzo Zulian nel ruolo di Turiddu. Egli in realtà è un debole, un “bamboccio” che si pavoneggia solo per autodifesa. Anzi per la disperazione e la rabbia di sentirsi socialmente inferiore. Lola è interpretata con la necessaria malizia e civetteria da Rossana Rinaldi. Complessivamente buona la direzione del canadese Jacques Lacombe, per la prima volta sul podio del Regio di Torino.


Oedipus Rex di Igor Stravinsky e Cavalleria Rusticana di Pietro Mascagni



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