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Oltre la morte (di Liù)

di Paolo Patrizi
  Turandot
Data di pubblicazione su web 01/03/2007  

Nell’anno del cinquantenario toscaniniano proporre – e proprio nella sua Parma – una Turandot può assumere valore simbolico: in nessun’altra opera quel rapporto di strenua fedeltà al Verbo dell’autore che caratterizzava, almeno nelle intenzioni, ogni esecuzione di Toscanini si concretò in una scelta così radicale. La “principessa di gelo” vide la luce postuma e non completata, e il rigore volle che alla “prima”, da lui diretta, l’opera si fermasse nel punto in cui Puccini aveva cessato di comporla; ovvero – un tempo era cosa nota anche ai bambini – con la morte di Liù.

Marco Berti e Andrea Gruber
Marco Berti e Andrea Gruber

L’episodio ha definitivamente sancito il sapore di “incompiuta” che aleggia su Turandot, non rendendo giustizia all’onesto lavoro di completamento di Franco Alfano; suggerendo anzi, a partire dallo stesso Toscanini, una prassi esecutiva dove il conclusivo duetto alfaniano veniva ampiamente sforbiciato e autorizzando altri, in epoca recente, a ricomporre quanto, sul finire dell’opera, Puccini non fece in tempo a musicare. Alla resa dei conti, ciò non ha aggiunto nulla d’illuminante a una reinterpretazione del finale: la cui “vera” soluzione – quasi fosse un quarto enigma da aggiungersi ai tre di Turandot – Puccini se la portò nella tomba, ammesso e non concesso (le ultime lettere sembrerebbero dire il contrario) che su quest’epilogo almeno lui avesse le idee chiare.

Un momento dello spettacolo
Ping, Pong e Pang

Nello spettacolo del Teatro Regio, proveniente dal Covent Garden, si è creduto alla forza dell’opera fino in fondo: il direttore Donato Renzetti ha proposto il “finale Alfano” in versione integrale, compreso il monologo della protagonista (Dal primo pianto) incastonato del duetto, che non passerà alla storia della musica ma molto chiarisce sul piano drammaturgico. D’altro canto la regia di Andrei Serban, attraverso un geniale colpo di teatro, sottolinea come con Liù forse non morirà l’intera opera, come simbolicamente pretendeva Toscanini alla “prima”, ma certo muore Puccini: sul definitivo calar del sipario, mentre i due protagonisti e il coro celebrano l’apoteosi dell’amore, passa il carro funebre su cui giace il corpo della piccola schiava, scortato al ralenti da Timur, Ping, Pang e Pong. Come a dire che per ogni felicità che nasce corrisponde la fine di qualch’altra cosa; ma pure a sottolineare come oltre la morte dell’autore inizi il grande buco nero: l’opera italiana continuerà a produrre lavori e – occasionalmente – capolavori, ma il melodramma, inteso come stagione di creatività continua, è ormai un’esperienza conclusa.

Per il resto, la messinscena di Serban mantiene una compiutezza e una freschezza rare negli allestimenti che circolano da anni e vengono ripresi da mani differenti da quelle del regista (a Parma lo spettacolo è stato riproposto dal suo assistente Jeremy Sutcliffe). L’idea scenica di fondo è quella d’una sorta di teatro-agorà, con il coro del popolo di Pechino trasformato in spettatore della vicenda che si svolge sotto i suoi occhi (cosa sono gli indovinelli della protagonista se non una macabra rappresentazione?), ma ad essere sottolineata è soprattutto la dimensione della favola terrifica e crudele: trait d’union tra i vari quadri sono i mascheroni che rappresentano le teste mozzate dei pretendenti di Turandot. La componente ritualistica della vicenda (l’iterazione dei tre enigmi, l’untuosità del cerimoniale di corte...) viene risolta, invece, attraverso un capillare lavoro di recitazione corporea: molti momenti dell’opera vengono insigniti d’un felice contrappunto coreografico, e resterà a lungo nella memoria degli spettatori quella Turandot trasformata in donna-uccello che, con braccia atteggiate ad ali rapaci, circonda Calaf durante gli indovinelli, tentando di annichilirlo.

Gli interpreti
Gli interpreti

In questo quadro, la protagonista Andrea Gruber si dimostra attrice tanto duttile quanto efficace; e dispiace che all’abilità con cui realizza le indicazioni registiche non corrisponda una prova vocale di pari livello. Al fatto, non ci troviamo davanti né allo sferzante soprano drammatico codificato dalla tradizione – e suggerito dalla densità dello strumentale cui la voce deve far fronte – né a una visione più sfumata del personaggio. Semplicemente ascoltiamo una voce di soprano lirico spinto, o di soprano lirico tout court un po’ ispessitasi con gli anni, prestata a una visione drammatica – o, almeno, altisonante – del ruolo. Il tutto corredato da un’intonazione non sempre impeccabile.

È un po’ poco, ma il personaggio esce comunque fuori. Laddove Marco Berti – almeno la sera della “prima” – è stato un Calaf di scarsa evidenza interpretativa e incresciosi esiti vocali: il suo Nessun dorma, coronato da un “Vincerò” con imbarazzante ripresa di fiato tra le prime due sillabe e l’ultima (“Vince-rò”), resterà anch’esso a lungo nella memoria degli spettatori. Ma in un senso ben diverso da quello di cui si diceva poc’anzi.

La voce di Valentina Farcas non ha l’ampiezza di cavata che si desidererebbe nei momenti solistici di Liù, né quella di Marco Spotti può contare sulla rotondità dell’autentico basso qual è Timur, ma né l’una né l’altro demeritano. Anche se quando, tirando le somme, ci si accorge d’aver assistito a una Turandot dove l’unico cantante ideale era l’interprete di Ping (il morbido e timbratissimo baritono Fabio Maria Capitanucci, ben coadiuvato dal Pang di Gianluca Floris e dal Pong di Mauro Buffoli), l’impressione di un bilancio negativo è inevitabile, per quanto riguarda il cast.

Marco Berti, Max René Cosotti, Andrea Gruber
Marco Berti, Max René Cosotti, Andrea Gruber

A far pareggiare il conto provvede, oltre a Serban, l’eccellente direzione di Renzetti. Da anni non si sentiva uscire un suono così bello dalla buca dell’orchestra del Regio; e l’analiticità della lettura (tutte le sezioni in perfetta evidenza) non va a scapito, come talvolta accade, dell’architettura complessiva, né la tendenziale lentezza dei tempi che ne è il corollario sfocia in eccessive diluizioni.




Turandot
Dramma lirico in tre atti e cinque quadri


cast cast & credits
 
trama trama
 

Foto di Roberto Ticci

Teatro Regio di Parma 

 

 

 

 

 


 



Valentina Farcas
Valentina Farcas

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Valentina Farcas e Marco Spotti
Valentina Farcas e Marco Spotti




 

 
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