Tratto liberamente dal romanzo dello scrittore ceco Bohumil Hrabal il film di Jjri Menzel è una vera delizia. Mantiene tutta la leggerezza, la serietà, l'intelligente ironia del modello ma neppure per un attimo tradisce una matrice letteraria: è infatti cinema totale, sia per la scelta fisica dei personaggi, sia per la loro recitazione fatta di piccoli mutamenti, sia per il gusto sfrenato di un décor che è al tempo stesso linguaggio filmico ed espressività narrativa. Il tono generale di questa storia che è, a modo suo, anche tragica, rivela il meglio di una cultura a lungo frenata dalla censura e quindi capace di esprimersi per metafore, apologhi e fiabe più che per proclami. Condotto quasi con il ritmo di un'operetta che a qualcuno forse apparirà un po' vecchiotto, il film è un ininterrotto susseguirsi di delizie e raffinatezze.
Oldrich Kaiser
Tratta di un pezzo di storia della Cecoslovacchia visto attraverso gli occhi e la carriera di Jan Dites (Ivan Barney, gioiello di trasognato cinismo), piccolo qualunquista che sogna di diventare miliardario e attraversa la sua vita e la Storia spensierato e senza morale. Fino alla fine della storia, che è anche l'inizio del film che procede poi per flash back secondo i ricordi cronologicamente lineari del protagonista. Aiuto cameriere in un piccolo bar del paese natio, il minutissimo ragazzo impara ben presto l'arte del servire, fatta di gentilezze e simulazioni ma, soprattutto, di occhi aperti sul mondo, per carpire da ogni occasione il meglio e passare poi all'occasione successiva: si sviluppa così la sua resistibile ascesa che lo vede lasciare il paese dopo alcune gradevoli esperienze anche sessuali e amorose per cercare fortuna nella capitale praghese. A servizio in un grand hotel nei dintorni della capitale, ha modo di conoscere ed invidiare l'opulenta vita della buona società degli anni trenta, il cui fasto diviene sempre più per lui modello. Il passo successivo è il piú grande albergo praghese dove, anche a causa della sua piccola statura, viene scelto dall'imperatore d'Abissinia come destinatario di un'onorificenza destinata al direttore (troppo alto per la statura del donatore).
L'amore per Lisa, piccola militante tedesca dei sudeti sembra per un attimo (con la grande Storia che entra per la prima volta nella sua vita attraverso gli accordi di Monaco), interrompere il corso trionfale della sua carriera ma l'invasione tedesca della Cecoslovacchia lo pone di nuovo "dalla parte giusta", cioè vincente: l'ascesa politica di Lisa (e questa è forse la parte in cui la finezza del racconto lascia il posto ad un andamento farsesco un po' greve) non ha più ostacoli e il piccolo cameriere ceco, provate le sue origini ariane, si prepara ad un avvenire sempre più brillante, divenendo factotum dell'antico albergo ora trasformato in fattoria di riproduzione di campioni di super razza. Nonostante la verificata impeccabilità del suo sperma, la produzione di un piccolo ariano da donare al führer non riesce e Lisa espia andando al fronte. Tornerà ricchissima, avendo fatto incetta di tutti i francobolli dei paesi occupati di cui farà mostra al marito in un irresistibile streep tease.
Ivan Barnev e Julia Jentsch
Poiché il destino ha deciso di accontentare il giovane qualunquista nella sua conquista della ricchezza la morte di Lisa sotto il crollo del soffitto nell'incendio della clinica gli permetterà di mettere in salvo la valigia con i francobolli e, alla fine del conflitto, di comprare l'albergo e di predisporlo per i miliardari che, non ha dubbi, lo frequenteranno, coronando così la sua ambizione di una vita dorata. Il finale ha la grazia chapliniana del sogno del führer a cui scoppia in mano il mappamondo nel Grande dittatore: mentre pregusta la realizzazione del suo sogno, tra mobili, tappeti, ricchezze di tutti i tipi, mentre attende l'arrivo dei primi miliardari Jan Dites riceve la visita di due funzionari del governo che lo informano che i miliardari non esistono più. Rivendicando la sua appartenenza alla categoria ed esibendo il suo patrimonio viene condannato, secondo la tabella del nuovo regime comunista della cui ascesa non sia era accorto, a quindici anni di reclusione. Il lungo periodo di detenzione e una nuova vita, iniziata quando ormai il più della vita se ne è andato, gli consentirà di veder il suo passato con felice e ironico distacco.
Il film, lo abbiamo detto, è una delizia ma, per essere apprezzato appieno, deve trovare un pubblico istruito, un pubblico che condivida con l'autore gusti e cultura, che condivida un andamento narrativo lento, un'ironia e un'autoironia sottili, un'espressività piana e lineare ben lontana dai ritmi sincopati ed ellittici di molto cinema contemporaneo.
Inutile segnalare, data la grande tradizione interpretativa ceca e la grande esperienza anche teatrale del regista che gli attori sono, anche il piú marginale, assolutamente perfetti.
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