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Tragedia in forma di soap

di Sara Mamone
  "La masseria delle allodole"
Data di pubblicazione su web 15/02/2007  
Messo pudicamente nella sezione Berlinale special il film dei fratelli Taviani è causa di molto imbarazzo. Pieno di buone intenzioni, anche se non arriva ad arricchire il lastrico dell'inferno certo non può essere assolto per i meriti pregressi degli autori. Ci sono purtroppo temi che non sono come gli altri e proprio i Taviani ci hanno abituato da tempo a vederli maneggiare con sensibilità e originalità, ma anche con forza, questi temi "speciali". Ebbene, lo sterminio degli armeni da parte dei Jeunes turcs della laicissima repubblica voluta nel 1913 dal padre della patria Kemal Ataturk è proprio uno di questi, anzi, al momento uno di quelli all'affiche nella politica comunitaria che al riconoscimento del genocidio dai parte dei turchi subordina la loro entrata nella comunità europea. Soggetto dunque delicato e, purtroppo, quasi di moda al cinema se, dopo le grandi opere del passato e il discontinuo Ararat di Atom Egoyan, persino Sylvester Stallone, dalla ben nota sensibilità storica, pensava di farne uno pure lui (scatenando le comprensibili ire locali).


 

Alle spalle di questo film sta il romanzo di Antonia Arslan, quindi un solido tessuto narrativo che avrebbe dovuto evitare la deriva. E invece il film procede senza nerbo, accumulando episodi inerti della lunga odissea della ricca e generosa famiglia Avakian, un ramo rimasto a convivere pacificamente e operosamente in Armenia, l'altro trapiantato con successo nella vita veneziana. Nel 1915 la Francia e l'Italia costituiscono un'alleanza contro l'Austria e la Turchia dalle mire imperiali. Anche se la rapidità del cambiamento di atteggiamento della comunità turca nei confronti di quella armena sta certamente alla base dell'entità dello sterminio (circa un milione di morti), essendo gli armeni completamente impreparati alla scatenamento di un tale odio, non si possono ridurre a silhouettes dimostrative i personaggi come fanno i Taviani.


 

Infatti, passati i primi emozionanti minuti di atmosfera nella grande ed elegante casa del patriarca che muore turbato da una visione di sangue mentre il nipotino si accoccola dolcemente accanto a lui nel lettone e dopo le belle immagini del funerale che raccoglie nell´ omaggio la comunità (turchi, armeni, ufficiali di vecchia e nuova generazione, etc.), il tutto prende un andamento da piccolo trotto televisivo: il ritmo è lento o, per meglio dire, non c'è. Gli Avakian, rappresentati nella calma quotidiana di un vivere ricco ma sobrio, segnato da rispetto per i propri operai, amore coniugale, disponibilità pedagogica etc sono di uno schematismo insopportabile, così melensi da sfiorare il ridicolo: nel momento in cui, rifugiatisi nella masseria con tutti gli abitanti armeni del paese, il capofamiglia avanza il sospetto di aver sbagliato tutto, un secondo prima che la sua testa recisa da un colpo di spada rotoli nel grembo della moglie attonita. Poi non è che una sequenza di situazioni didascaliche, tra preoccupazioni scenografiche e cataloghi di nefandezze.


 

Moritz Bleibtreu (l´anno scorso meritatissimo premio per il miglior attore protagonista ne Le particelle elementari), spiaccicato nell'ultima parte del film a rappresentare (pure lui un tipo del catalogo), il buono dalla parte dei cattivi, vittima anch'egli oltre che carnefice. Forse solo Mariano Rigillo, solido attore teatrale, si salva un poco; o forse è solo riconoscenza quella che proviamo per lui quando sulla riva della laguna di Venezia aspetta i superstiti della sua famiglia e capiamo che il film volge al termine. Non capiamo invece perché i due grandi registi, così chiaramente privi di ispirazione si siano messi in questa impresa.

La masseria delle allodole
cast cast & credits
 

 



 

 

 

 

 


 




Paolo e Vittorio Taviani

 
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