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Una collana di Perle

Gherardo Vitali Rosati
 
Data di pubblicazione su web 12/05/2008  

Sono riprese in questi giorni le rappresentazioni dell'ultimo spettacolo del Théâtre du Soleil, Les Èphémères. Vincendo anche sul precedente Le Dernier Caravanserrail, la pièce ha una durata complessiva di otto ore, sebbene sia possibile anche vederne le due metà in due sere diverse. La versione integrale è presentata soltanto la domenica, durante l’intera giornata (dalle 13 alle 21). 

Caldamente accolti dalla regista - intenta al contempo alla preparazione dello spettacolo e alla risoluzione delle infinite code al bar - vediamo entrare in scena una grande pedana a rotelle, rotonda, sulla quale un gruppo di attori iniziano a montare una scenografia, accompagnati dalla musica enfatica di Jean-Jacques Lemêtre. Con gran sorpresa del pubblico, una volta terminato il lavoro, il «carro» sparisce dall’altra parte del palcoscenico. La struttura della sala è infatti nuova e pensata per l’occasione: il teatro è adesso adibito a bar, lo spettacolo è invece realizzato in un’area nuova, costituita da due ripide gradinate l’una di fronte all’altra, separate da una rettangolare arena aperta alle due estremità. Ben presto scopriremo che Les Èphémères è un susseguirsi di carri rotondi, che, spinti a turno dagli attori, ruotano costantemente sul palcoscenico, permettendo di vedere le scene da numerose angolazioni diverse. 

La maggior parte di queste scene rappresentano degli interni - salotti, camere da letto, cucine - realizzati con un realismo perfetto. Seguendo i ripetuti flash-back, la scenografia muta mostrando l’arredamento di diverse epoche del secolo. Con grande precisione sono poi ricostruite dimore nobiliari, miserabili rifugi, ospedali etc. Su carri più piccoli incontriamo alcuni dettagli degli esterni: alcuni cancelli, dei giardini, qualche spiaggia. La stessa cura è applicata ai costumi, anch’essi marcatamente realistici e minuziosamente accompagnati da ogni sorta di attrezzeria: oltre ai classici baffi, barbe e parrucche, si trovano qui anche falsi crani e falsi nasi, che trasformano radicalmente le fisionomie.

Grazie a tali accorgimenti gli attori possono recitare numerosi personaggi restando irriconoscibili. Va detto che ogni aiuto tecnico sarebbe vano se non fosse accompagnato dal lavoro svolto per mutare accento linguistico e movimenti. Se nel Denier Caravanserrail molti attori avevano dovuto imparare a recitare in lingue a loro ignote come il persiano, il russo o l’afghano, qui «si limitano» ad affrontare alcune scene nella loro lingua madre (inglese o spagnolo o italiano) o in lingue ben conosciute (Duccio Bellugi-Vannuccini interpreta, fra gli altri personaggi, un credilissimo soldato tedesco). In altri ruoli riescono con vari espedienti a rendere i loro accenti totalmente impercettibili.

Ci ritroviamo così all’interno di alcuni spaccati di vita quotidiana: ogni carro porta con sé dei personaggi con le loro stanze e i loro oggetti più usati, il sistema della rotazione consente di aggiustare la disposizione degli attori rispetto al pubblico e facilita un naturalismo “alla Antoine”. 

Fra tanta accuratezza, il testo è forse l’elemento meno strutturato. Nato - secondo gli usi del gruppo - dalle improvvisazioni degli attori, presenta una lunga serie di scene, apparentemente dissociate l’una dall’altra. Certo è che esiste un sottile filo che si chiarisce sul finire della rappresentazione, ma si tratta di un legame a volte forzato, e comunque incapace di tenere insieme tutto lo spettacolo. Nonostante la loro individuale bellezza e le tematiche assai forti (la morte è uno dei temi principali), le scene sono spesso slegate dal loro contesto. La struttura è creata dal ritmo, da certe atmosfere e non dal testo; si procede per soggetti e per suggestioni: è un procedimento che funziona in molti momenti, ma che non è forse sufficiente per una rappresentazione di così lunga durata. 

Ricco di nuove idee, lo spettacolo, riprende alcuni espedienti tecnici già sperimentati dalla compagnia (come l’uso delle scenografie a rotelle), per perfezionarli e rinnovarli (il roteare continuo delle scene). Ai dispositivi tecnici si aggiunge poi una troupe in costante evoluzione, in cui si trovano, accanto agli attori storici del Soleil, molti giovani di talento, nonché numerosi bambini che compensano, con la loro naturale vitalità, l’atmosfera di morte spesso dominante. A causa delle tematiche forti e ripetute, della musica a volte troppo marcata, e della sua lunga durata, lo spettacolo assume sul finale un certo tono melodrammatico, compensata però dalla bellezza di certe singole scene. 

Basti citare la storia di Perle, la barbona folle (magistralmente interpretata da Shaghayegh Beheshti) che incontriamo per la prima volta sottoposta ad un’écografia (il medico è recitato con naturalezza e semplicità da Juliana Carneiro da Cunha): si tratta probabilmente di un tumore, ma la povera donna è convinta di esser lì perché aspetta un bambino…


Lettere da Parigi
Les éphémères

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