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Il silenzio di Dio dinanzi all'abisso dell'Olocausto

di Carmelo Alberti
  Ottavia Piccolo
Data di pubblicazione su web 30/01/2007  

Accade talvolta nei nostri teatri di rimanere immobili con il fiato sospeso, attenti a quanto accade sulla scena, coinvolti da quanto si svolge dinanzi a noi, convinti che ciò che i protagonisti dicono ci riguarda profondamente. Capita talora che la rappresentazione sembri scaturire da una sorgente di scrittura pura e limpida, in grado di nutrire la carne e la sensibilità degli interpreti e di dare lucidità alla mediazione registica. È quanto è accaduto con la messinscena di Processo a Dio di Stefano Massini, diretta da Sergio Fantoni, prodotta da La Contemporanea, in tournée in Italia dal dicembre 2006, ospitata il 16 gennaio scorso al Teatro Camploy di Verona.

Il lavoro costituisce una sezione della “quadrilogia” di drammi (pubblicati da Ubulibri nel 2006) che traggono spunto da modelli artistici esemplari; nella raccolta il trentaduenne scrittore fiorentino, vincitore del Premio “Tondelli” nella Rassegna Riccione 2005 con L’odore assordante del bianco, una tappa del suo progetto drammaturgico dedicata a Vincent Van Gogh, ambisce a ripristinare la centralità della parola, ancorandola ad accadimenti concreti e alla tensione emotiva; e guarda all’invenzione della realtà come un compito dell’arte e della letteratura, come un modo per continuare a scrutare il mistero della condizione umana. Così ne La fine di Shavuoth la ricerca dell’identità s’affida al dialogo tra il personaggio Franz Kafka e un attore polacco, rinchiusi, insieme ad un vecchio cameriere, nel Café-Teatro Savoy del Ghetto di Praga, nel 1911. Oppure, in Memorie del boia, che è ambientata nella Parigi del 1829, un vecchio giustiziere spiega il senso della vita ad un giovane visitatore, che alla fine si rivela essere il romanziere esordiente Honoré de Balzac.

Al pari degli altri testi, anche Processo a Dio poggia sulla fluidità del dialogo, sul linguaggio che misura passo dopo passo il tentativo di riappropriarsi del significato più profondo dei sentimenti; l’esperimento è sospinto fino a individuare un’ambiguità tale da costringere chi è presente a interrogarsi sull’incongruenza del mondo. L’aprirsi del sipario mostra una stanza-magazzino, un luogo scarno e freddo, rivestito di legno scuro, chiuso da una pesante porta in lamiera ondulata: è il padiglione 41, il deposito del campo di concentramento di Lublino-Maidanek.

È qui che nella semioscurità s’avverte la presenza di due individui; appena s’accende la luce, si nota come l’uno indossi l’abito delle SS, l’altro, bendato, è coperto dal pigiama a righe dei segregati ebrei. Ben presto, però, l’acrimonia dell’ufficiale fa intendere come vi sia stata un’inversione di ruoli: l’uomo calpestato e minacciato di morte è il capitano Reinhard, aguzzino del lager, mentre il suo guardiano, smanioso di vendicarsi, è il giovane Adek Bidermann, un sopravvissuto allo sterminio.

Gli interpreti
Processo a Dio


Poco dopo, con l’ingresso di Elga Firsch si apprende come in quella primavera 1945 il campo sia ormai liberato, ma la donna, una famosa attrice ebrea, prima di lasciare per sempre il recinto della disperazione e dell’annullamento di un popolo, pretende un risarcimento. Perciò ha scandagliato ogni angolo della prigione per raccogliere le prove della colpevolezza di Dio, il vero responsabile – secondo Elga – delle inaudite atrocità inflitte agli ebrei. Nella sede di un tribunale occasionale fanno il loro ingresso Solomon e Mordecai, i due saggi che assumono il ruolo di giudici, con la promessa di mantenersi ligi alle leggi dei padri, e poi il rabbino Nachman Bidermann della comunità di Francoforte, presenza indispensabile per garantire la difesa dell’imputato Dio.

L’istruttoria dell’attrice si basa più che sull’individuazione degli esecutori della devastazione omicida, sull’assurdità di una catastrofe che ha sconvolto ogni possibile logica e che ha fatto crollare per sempre la fiducia nella giustizia. Alla radice del dramma emerge la convinzione che l’uomo sia un semplice “burattino”: il dibattimento, dunque, è teso a comprendere fino a che punto sia reo chi lo manovra. Né può dirsi un’azione blasfema, visto che gli ebrei processano Dio da oltre cinquemila anni. I capi d’imputazione, scanditi senza esitazione dalle dimostrazioni di Elga, sono raggruppati in cinque passaggi chiave: gli ebrei sono stati ridotti in schiavitù, sono stati massacrati sistematicamente, sono stati venduti, sono stati illusi e traditi, e infine, seppure creati a immagine e somiglianza di Dio, sono stati privati della loro umanità. Il dibattimento non avrà una sentenza; la soluzione sarà, perciò, affidata al silenzio di Dio, posto dinanzi all’abisso dell’Olocausto, e ad una decisione dettata dal destino, mentre la scena si rabbuia.

Sergio Fantoni va considerato non solo l’artefice dell’emersione del copione da un cassetto, nel quale l’aveva rinchiuso il suo autore, ma è soprattutto colui che con lodevole maestria ha trasferito il dramma nello spazio di un teatro fattosi nuovamente luogo della memoria collettiva. Insieme agli interpreti il regista ha definito un tracciato di azioni semplici, collegabili direttamente ai fatti, al sequestro di milioni di vittime ignare, al loro annientamento nei forni crematori, allo sfruttamento di un’enorme forza lavoro fino all’estrema umiliazione fisica, agli esperimenti più atroci che folli scienziati hanno inflitto a bambini, donne, vecchi inconsapevoli.

È merito dei mediatori artistici l’aver realizzato uno spettacolo essenziale, privo di retorica; la scena e i costumi immaginati da Gianfranco Padovani escono dal cliché del lager, definendo piuttosto un antro del mistero e dell’autocoscienza; e le musiche di Cesare Picco distillano suoni consoni ad una tragedia della contemporaneità.

Davvero lodevole la prova dei protagonisti. Ottavia Piccolo avvolge la personalità di Elga nell’aspra caparbietà di un’artista ostinatamente in cerca della verità. La brava attrice, che negli ultimi anni ha battuto una pista proficua, orientata verso un teatro politico volto alla denuncia delle barbarie più recenti (si ricordano Buenos Aires non finisce mai di Vito Biolchini ed Elio Turno Arthemalle e Terra di latte e miele di Manuela Dviri), valorizza lo strappo che la disumana segregazione ha prodotto nell’animo e nel corpo del suo personaggio, addestrato per professione alla finzione. L’espressione del volto, il gesto delle mani, la posizione del corpo testimoniano la metamorfosi amara di una donna coraggiosa, che si batte per riavere la propria dignità e che attraverso la denuncia spera di sospingere l’inchiesta fino alle sorgenti della spiritualità.

Gli interpreti
Gli interpreti


Vittorio Viviani è l’ispirato rabbino Nachman, colui che dapprima sconsolato, poi rinvigorito, difende l’intangibilità divina come la matrice segreta e indistruttibile della civiltà. Silvano Piccardi  e Olek Mincer esprimono con particolare abilità la difficoltà di chi deve accantonare lo strazio della propria sofferenza per garantire la saggezza del giudizio. Altrettanto pregevoli risultano la rabbiosa voglia di rivalsa, a stento trattenuta, che Francesco Zecca trasmette alla figura del giovane Adek e la paura dell’aguzzino vinto con cui Marco Cacciola veste il gerarca Rudolf.

 
Colpisce, inoltre, l’attenta relazione d’insieme che riconduce le azioni singole in un gioco analitico raffinato. L’equilibrio drammatico di una messinscena ben pensata e studiata rende Processo a Dio una traversata razionale e, insieme, dolente della Shoah, un domandarsi quali cause abbiano potuto provocare un morbo nefasto che ha travolto i valori del mondo. L’accusa esige di sapere chi ha dischiuso il vaso di Pandora, chi ha scatenato uno sterminio condotto con un incredibile e lucido rigore, ma oltre lo sguardo e le parole dei personaggi riaffiora lo smarrimento dell’intera comunità civilizzata, perché il processo riguarda chiunque si chiami uomo, in qualsiasi età, lungo la catena del tempo, dal passato al futuro, per non dimenticare.






Processo a Dio
cast cast & credits
 
 

Le foto sono di Tommaso Le Pera


 



 

 



 

 

 








 



 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 

 

 

 

 

 

 

 

 








 
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