Maestre cattive
di Roberto Fedi
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Data di pubblicazione su web 29/01/2007 |
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Ah, i cattivi maestri. Se ne sente parlare da quando eravamo in calzoni corti. Ogni tanto esce qualcuno che leva il ditone e dice: ecco, questo è un cattivo maestro. Di solito è anche vero, naturalmente. Ma poi uno si chiede: chi lo ha innalzato a maestro? E che allievi ha? E che gli succede ora? Risposta, almeno alla terza domanda: niente. Che paese è questo che eleva a Magister un Cattivo, e poi lo lascia lì ad ammaestrare? Oppure che lo accoglie a braccia aperte dopo la latitanza, e anzi lo festeggia mentre quello sbraita che tornerà a fare il Cattivo Maestro, o giù di lì?
Lasciamo perdere. Ma ora cè una novità: la Cattiva Maestra. Chi è la cattiva maestra? Risposta in coro: la televisione. E ti pareva. Ci mancava solo il pontefice, nel coro: che infatti non si è risparmiato questa ormai celebre espressione "durante un appello ai responsabili di comunicazione televisiva affinché correggano la qualità delle trasmissioni e dei loro messaggi" (citiamo dai giornali).
Il papa avrà anche le sue ragioni, ci mancherebbe altro. Qualcuno potrebbe obiettare (il solito anticlericale) che un Papa – lo scriviamo maiuscolo, questa volta – magari avrebbe da intervenire su cose meno labili e terragnole della televisione: che so?, la presenza di Dio, limmanenza, il Sacro, lo Spirito… Ma vabbè, capiamo anche che fare il papa dopo quel demagogo di Giampaolo II è difficile e bisogna adattarsi. E allora facciamo qualche riflessione.
Perché la televisione è una Cattiva Maestra? Noi, per esempio, non siamo daccordo neanche sulla terminologia. Intanto, non è una maestra. Questa idea, tutta italiana crediamo, deriva dalla breve storia della Tv in questo sciagurato Paese: perché essa (direbbero Cochi & Renato) nacque sotto legida della Diccì (non è uno starnuto, chiariamo per i giovanissimi: Democrazia Cristiana) proprio per ammaestrare. Ovviamente considerando il telespettatore e cittadino un poveretto da indurre, tramite il tubo catodico, a votare per lo scudo crociato (che era, lo diciamo eccetera eccetera, il simbolo di quel partitone).
È chiaro che le cose sono cambiate, nel tempo. Ed è anche chiaro che altri partiti monolitici (Piccì: non starnuto eccetera: Partito Comunista Italiano) a loro volta, appena ne ebbero la possibilità, fecero lo stesso. È la storia del Terzo Canale: che è rimasto, più o meno, intatto. Ed è ri-chiaro che altri soggetti non appena videro lopportunità fecero lo stesso, con navi da battaglia grosse come Mediaset. Insomma: è lanomalia italiana, una delle tante.
Qualcuno chiederà: perché, allestero non è così? No, almeno non in queste dimensioni e almeno non nei paesi avanzati e beati loro privi di un passato imbarazzante. Da nessuna parte al mondo si dà alla televisione questo ruolo pedagogico, ormai. Mai, onestamente, ci è capitato di qua o di là dellOceano di sentire alti lai o vedere spargere amare lacrime sul ruolo della televisione, e – quindi – nemmeno di sentire parlare di Maestri, Maestre o Maestrine, né buone né cattive né così così.
La televisione non ha niente da insegnare, almeno non nel senso onnicomprensivo che qui da noi si dà a questo verbo. Non più. Laicamente, e dato che per fortuna siamo ormai alla pluralità delle voci, ha solo la possibilità di far vedere: cose interessanti o meno. Se lo spettatore adulto e non pecoresco non apprezza, cambia. In uno Stato non ideologico e non etico la televisione è come i giornali: a nessuno, spero, verrebbe in mente di prendere il "Corriere della Sera" o "Libero" o "Gente" (citiamo a caso) come Maestri. Sono organi di informazione. Se non vi piacciono più, o non vi sono mai piaciuti, cambiate giornale. Stop.
Diventare adulti è difficile. Anche i papi, forse, potrebbero contribuire.
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