Che Gabriele Muccino fosse il più americano tra i registi italiani si era capito da un pezzo, e luscita de La ricerca della felicità non è che unulteriore conferma di ciò. Distanziandosi dalla commedia allitaliana più becera e cinepanettonara, Muccino ha intrapreso un percorso personale che, film dopo film, rivela le tracce di quei modelli di riferimento elevati, dei Risi e dei Monicelli per intenderci, capaci di affrontare con eleganza e acutezza temi quali il passaggio dalla adolescenza alla maturità, i rapporti interpersonali allinterno del nucleo familiare, gli affreschi generazionali. Costeggiando la strada maestra della tragicommedia, più con astuzia che con coraggio, il regista ha delineato un "Muccino style", marchio di fabbrica riconoscibilissimo che passa attraverso un cinema urlato e nevrotico, emotivo ed esteriorizzante, che, pur risultando efficace e affascinante, presta il fianco a numerose critiche. Il fil rouge che parte da Ecco Fatto e approda a Ricordati di me delinea un mondo di benessere medioborghese popolato da adolescenti turbati, trentenni preda della sindrome di Peter Pan e famiglie sfasciate dalle incomprensioni.
A questo universo "confezionato ad arte" vanno aggiunti uno sguardo autoriale già maturo e una competenza tecnica innegabile in confronto a tanto cinema italiano raffazzonato, doti che hanno permesso a Muccino di sbarcare a Hollywood conquistando la fiducia degli studios e creando un connubio vincente con la star Will Smith. Novello Frank Capra, ne La ricerca della felicità il regista romano narra la vicenda di uomo comune che lotta per sbarcare il lunario in cerca di un riscatto che passa attraverso laffermazione economica. Una parabola capitalistica che può far storcere il naso a molti. Se il Capra originale esaltava la figura delleroe candido e naïf che combatte per preservare i propri valori morali, qui lelemento che, molto più prosaicamente, innesca lodierna ricerca della felicità è una Ferrari, status symbol per eccellenza. Per raccontare la storia di Chris Gardner, storia vera per altro, Muccino tende a creare uno stile visivo più compatto sacrificando certi virtuosismi, come i carrelli e le panoramiche tanto usati in passato, a favore di campi lunghi alternati a primi piani che permettono di stare addosso al protagonista, cogliendo tutte le sfumature emotive di quella che è una delle migliori performance attoriali di Will Smith. Alla parziale spersonalizzazione stilistica (si salva solo limmancabile voce narrante che ci accompagna per tutto il film) corrisponde una narrazione solida, a tratti impietosa, che ci mostra luci (poche in realtà) e ombre dellamerican way of life svelando la condizione miserabile in cui versano coloro che quella scala sociale non riescono proprio a risalirla.
Moderato lo stile, limpronta mucciniana trapela principalmente dalluso del simbolismo di cui il film è intessuto. Se è esclusivamente americano il costante ritorno del termine "felicità", parola ripetuta ossessivamente dal protagonista, appare scritta sui muri ed è parte consistente dellarticolo della Costituzione le cui lettere fluttuanti inaugurano la pellicola, lo sguardo italiano, da sempre più disincantato, si concentra negli oggetti disseminati qua e là volti a rappresentare squarci di speranza nel grigiore quotidiano. Se è vero che gli spazzini possono volare come nel finale di Miracolo a Milano, allora un RX portatile si può trasformare in una macchina del tempo o un cubo di Rubik può preannunciare profeticamente una svolta nellesistenza. Però non basta solo crederci, ma occorre rimboccarsi le maniche e correre freneticamente da una parte e dallaltra, proprio come Chris, per ottenere denaro, successo, rispettabilità e tutto ciò che ne consegue. Ottimismo "all american" e finale aperto strappato ai produttori con padre e figlio che si incamminano (ora non corrono più) verso casa mentre lOceano brilla allorizzonte.
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La ricerca della felicità
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Gabriele Muccino
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