drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

La più tedesca opera di Verdi?

Paolo Patrizi
  Luisa Miller
Data di pubblicazione su web 08/01/2007  

Sarà per la matrice schilleriana (Kabale und Liebe). Sarà perché la ''Verdi Renaissance'' tedesca degli anni Trenta e Quaranta partì proprio da questo titolo, oltre che dai Vespri siciliani e dal Don Carlo. Ma sta di fatto che Luisa Miller è sempre stata coltivata più in terra di Germania che da noi. Eppure non sarebbe azzardato – come suggerì una trentina d'anni fa Luciano Zeppegno nel suo dimenticato Il manuale di Verdi – vedere in lei non solo il prologo, cronologicamente parlando, della grande Trilogia Popolare, ma allargare i confini della trilogia stessa, trasformandola in una Tetralogia dove Luisa vive a fianco e si colloca alla pari di Rigoletto, Trovatore e Traviata. E basterebbe la grande scena tra la protagonista e il vecchio Miller, decisi ad ''andar raminghi e poveri'' davanti all'incalzare degli eventi, a risarcirci del mancato King Lear verdiano e a scorgere, sotto altra veste, quel duetto tra Cordelia e suo padre che, per gli amanti di fantamelodramma, resta la più bella – eppure mai stesa su carta pentagrammata – intuizione musicale di Verdi.

L'opera, d'altronde, copre un arco talmente cangiante di sollecitazioni stilistico-espressive da far sì che pure quanti l'hanno amata non sempre l'hanno capita a fondo: se la tradizione germanica (la prima incisione discografica, agli inizi degli anni Quaranta, fu proprio in tedesco) ne ha esaltato il versante stürmer a detrimento di altre componenti, in Italia si è preferito sottolineare, forse fin troppo, i retaggi belcantistici e le ascendenze donizettiane. Anche l'edizione vista alla Deutsche Oper, che il teatro berlinese propone con immutato successo da sei anni, sembrava proiettata verso una lettura incline al titanismo dello Sturm und Drang – solo apparentemente contraddetto da una messinscena in abiti borghesi – piuttosto che all’umanesimo verdiano; il che, musicalmente, si traduceva in un affascinante, sebbene un po’ unilaterale, spessore sinfonico (frutto più dell'eccellente qualità intrinseca dell'orchestra del teatro che della bacchetta, spesso lenta, di Frédéric Chaslin) volto a valorizzare soprattutto la sapiente ricchezza dell'orchestrazione della Miller, e solo in via residuale le sue grandi arcate melodiche.

Gli interpreti
Gli interpreti


Anche all'interno d'una griglia siffatta, però, l'opera lascia ampi primi piani alle sei voci protagoniste, a Berlino distribuite tra divi ormai al tramonto ma sempre degni di massimo rispetto (il Rodolfo di Neil Shicoff), cantanti ancor giovani ma da tempo di ottima reputazione internazionale (la protagonista Alexandrina Pendatchanska), nuove leve lanciatissime (il basso Arutjun Kotchinian, Wurm), un buon baritono italiano misconosciuto in patria e che ha trovato a Berlino il proprio palcoscenico di elezione (Bruno Caproni, il vecchio Miller), oltre a un paio di dignitosi routinier (Reinhard Hagen, Walter, e Nicole Piccolomini, Federica).

Di Shicoff, alle soglie della sessantina, rincresce l'emissione ormai spesso incontrollabile, che si traduce in vistosi slittamenti d'intonazione. A tratti, però, il registro acuto è tuttora sfolgorante e l’interprete – soprattutto quando, passato il primo atto, il personaggio abbandona la componente elegiaca e le tardive suggestioni donizettiane – sfodera ancora i numeri del fraseggiatore di gran classe.

 
La Pendatchanska ha un ''vibrato'' quasi violinistico, che a seconda della sensibilità di ciascuno potrà essere considerato invasivo o suggestivo. In ogni caso, la vocalista è ferrata; il temperamento, innegabile; il timbro personale, di quelli che rendono una cantante subito riconoscibile; e in definitiva la duplice natura di Luisa (il soprano di coloratura e il soprano lirico-spinto capace di accenti autenticamente drammatici) esce perfettamente definita. Caproni per lo spettatore italiano in trasferta a Berlino è una rivelazione: voce robustissima, autenticamente baritonale; fiati eccezionalmente lunghi; fraseggio da affinare, soprattutto sul piano della ricchezza dinamica, ma all'interno d'un ritratto comunque efficace. Kotchinian, ottimo attore, si lascia ascoltare con interesse; resta però l’impressione – almeno in rapporto ai mezzi sfoggiati in questa serata – che l’emergente basso armeno sia un po’ sopravalutato.

La regia di Götz Friedrich chiede a sua volta molto ai cantanti, in termini di recitazione: insistito, e spesso eccessivo, uso di controscene; uno scatto disperato di Luisa, nello scontro con Wurm, che la Pendatchanska risolve in modo emozionante; Miller trasformato in un invalido su sedia a rotelle, con grande dispendio d'energia per Caproni che deve trascinarla su e giù per il palcoscenico.

Per il resto si tratta di una lettura molto didascalica, a cominciare dall'antefatto – l'omicidio compiuto da Walter e Wurm – visualizzato a mo' di flash-back (e con tanto di colpo di pistola) durante la sinfonia; e anche satura di riferimenti iconografici eterogenei: si va dalla pittura fiamminga ai sodali di Walter conciati come gangster, dalla marsina e cilindro di Wurm ai servi di scena, utilizzati per i cambiamenti d’ambiente a vista, con maschere da Pulcinella. I risultati, sul piano estetico come su quello drammaturgico, lasciano perplesso lo spettatore italoverdiano. Ma se il pubblico berlinese da tanti anni applaude con soddisfazione questa messinscena, ci sarà un perché.
























Lettera da Berlino Luisa Miller di Giuseppe Verdi
Melodramma tragico in tre atti di Salvatore Cammarano


cast cast & credits
 
trama trama

Luisa Miller
Luisa Miller




 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013