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Pinocchio tra commedia e melò

di Cataldo Russo
  Foto di scena
Data di pubblicazione su web 23/12/2006  

A distanza di quasi tre anni da Odissea, Il Teatro Del Carretto torna in scena affrontando Pinocchio, uno dei personaggi tra i più popolari ma anche tra i più ardui da portare sul palcoscenico. Pochi giorni prima del debutto in Prima Nazionale al Teatro del Giglio di Lucca, abbiamo incontrato la regista Maria Grazia Cipriani  al termine di una delle ultime prove dello spettacolo.

Pinocchio - regia di Maria Grazia Cipriani
Pinocchio (Foto: Filippo Brancoli Pantera )
 

Nel vostro ultimo spettacolo, Odissea, ricordiamo un Ulisse avvolto in una sorta di messa in scena creata su misura per lui. In Pinocchio pare scorgersi una linea di continuità. Pinocchio agisce in un "mondo teatrale" governato da una sorta di maschera/capo-comico/fato che sembra avere il potere di riprodurre intorno a lui una continua rappresentazione.
Il punto focale dello spettacolo è proprio Pinocchio inteso come personaggio teatrale. Egli è in un certo senso predestinato al Teatro già dalle intenzioni del padre Geppetto.
In un'iniziale fase di studio mi sono avvicinata a questo pensiero che mi sembrava pura teoria, ma in seguito, approfondendo il personaggio con il lavoro delle prove, questo Pinocchio nasceva sempre più concretamente teatrale. Pinocchio è una sorta di maschera teatrale che ha in sé tutta la commedia e allo stesso tempo la tragedia ed il melodramma. Possiede tutte le corde del teatro. Non solo segue il destino del teatro a cui sembra predestinato ma in qualche misura lo compie. Un Pinocchio che a volte è sollecitato, a volte addirittura costretto, a rappresentare e rappresentarsi.

Una coercizione verso il Teatro che a volte è auto-esclusione dalla vita reale.
In effetti anche la concezione stessa della scenografia dello spettacolo può andare in questa direzione. La scena è come se fosse una specie di gabbia/recinto che all'occorrenza diventerà un vero e proprio circo nel quale il burattino è costretto ad esibirsi. Da questa gabbia teatrale Pinocchio non può uscire se non alla fine, una volta che si è liberato dalla maschera, per noi esemplificata dal naso. Alla fine Pinocchio abbandona questo luogo, questo spazio. Abbandona i suoi "compagni di scena", che oltre ad essere i personaggi collodiani rappresentano anche delle vere e proprie maschere teatrali.
Egli li abbandona e non c'è nessun accenno di commento sul fatto che questa uscita di scena sia una effettiva liberazione da questo stato di costrizione. Probabilmente non c'è nello spettacolo il senso di liberazione che traspare in Collodi. Nel racconto il passaggio da burattino a bambino può sembrare una liberazione. Per noi questa uscita di scena è ancora più ambigua.

Possiamo dire che in questa rappresentazione metateatrale coesistono tutti gli elementi dell'artigianalità teatrale tipicamente italiana, dal melodramma alla commedia dell'arte?
Esattamente. Intanto è proprio il Pinocchio di Collodi che è estremamente nostrano. C'è tutta la commedia popolare e c'è tutto il melodramma dentro il personaggio creato da Collodi. Pinocchio è spesso melodrammatico, si abbandona volentieri al "melodramma", è un po' il suo campo d'azione. E mi sono divertita a pensare che anche la Fatina possa giocare con il melodramma, contenendo in questo dato una sorta di equivoca familiarità con Pinocchio.

Un Pinocchio che giocando con il teatro incontra personaggi inquietanti e a volte  teatralmente crudeli, come Gatto e Volpe o l'Omino di burro.
Ma è proprio Collodi che ce li racconta così: ad esempio l'Omino di burro è descritto come un personaggio che arriva su un carro con le ruote foderate di stoffa per non far rumore, una specie di carro della peste, un vero e proprio venditore di bambini, in un'immagine che crea estrema inquietudine.

Perché Pinocchio dopo aver incontrato questi personaggi e aver vissuto le peggiori disavventure, sente continuamente il bisogno di raccontare ciò che è avvenuto?
Perché è Pinocchio stesso che non vuole o forse non può imparare. Ha bisogno di ripetere sempre le stesse cose perché è come se non avesse memoria, come se l'esperienza non gli servisse.
Forse sembra imparare qualcosa solo nel finale, nel prendersi cura di un genitore che sulla scena non appare mai. Un genitore che concretamente non c’è. Geppetto è la metafora di un creatore che esiste come bisogno o come senso di colpa. È difatti sulla scena l'unico segno tangibile della sua presenza è soltanto una vecchia e logora giacca.

Nei tre mesi impiegati nella preparazione dello spettacolo che tipo di rapporto ha istaurato con gli attori? C'è stato un cambiamento in senso più attoriale rispetto alla storia e all'evoluzione della compagnia?
Sinceramente penso di sì. È stato un passo dettato dalle necessità. Mentre fino a questo momento molte invenzioni teatrali della compagnia erano demandate a soluzioni su grande scala anche sul piano scenografico, in questo caso le soluzioni si compiono tutte sul palcoscenico per mano stessa degli attori. C'è stato un lavoro molto più approfondito con gli attori, sapendo che non potevamo contare sull'aiuto della macchina scenica. Ma questo passaggio era iniziato già con Odissea, avviando una sorta di spostamento rispetto agli spettacoli precedenti.
Se con il lavoro si va in profondità e si cerca per davvero, si trovano altri mondi, altri segni, e si approfondiscono strade che prima non si conoscevano. Non so se è un passo in avanti ma è sicuramente un inoltrarsi in un universo nuovo.




 
biografia biografia

(sopra: Pinocchio,
regia di Maria Grazia Cipriani)



 

 
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