Mentre Roberto Alagna, come un postiglione, cantava in piazza della Scala, allinterno del tempio della lirica abbiamo assistito alla quarta replica dellAida di Zeffirelli e di quella vogliamo riferire. Per riportarla, appunto, nella sua sede. Dove si fa musica, più o meno bene, ma certo più bene che male, e dove si svolgeva un evento comunque degno di essere valutato al di là delle pur consustanziali mondanità: si cantava lAida, opera in quattro atti su libretto di Giuseppe Ghislanzoni, musica di Giuseppe Verdi, con la direzione di Riccardo Chailly, maestro del coro Bruno Casoni e, last but not least, regia di Franco Zeffirelli, interpreti Marco Spotti (il Re), Ildiko Komlosi (Amneris), Violeta Urmana (Aida), Walter Fraccaro (Radamès), Giorgio Giuseppini (Ramfis), Carlo Guelfi (Amonasro), Antonello Ceron (Messaggero), Sae Kyung Rim (Sacerdotessa), i danzatori Luciana Savignano e, in grande spolvero e succinte seminudità selvagge, Roberto Bolle e Myrna Kamara.
Aida - Atto II
Di questa vogliamo onestamente riferire. Di questo onesto e non sorprendente spettacolo. Che, pur nella prevedibile opulenza faraonica della mano zeffirelliana, scorre però quasi in autonomia, senza che lopulenza no limits delle invenzioni registiche soffochi la nitida, anche forse un po bersaglieresca, direzione di Riccardo Chailly, né lemergere individuale delle passioni che, qui ancor più che nelle altre prove verdiane, costituisce la vera anima dellopera, pur celato da palme, piramidi, sfingi, flabelli, potenzialità infinite di profusioni di scemenze da trovarobato. Nella composita attribuzione dei ruoli di una messinscena Franco Zeffirelli è regista che “fa aggio” su qualunque altra componente e, onestamente, non cerca di essere altro da sé, né di essere sorprendente. Questa sua ultima fatica (che viene dopo lesaurimento delle varie tipologie, dal gigantismo dellarena di Verona alla microstruttura del teatrino di Busseto, dopo il quale restano solo le miniaturizzazioni marionettistiche dei fratelli Colla) è il massimo possibile di uno Zeffirelli doc. alla Scala. Gli spazi sono saturati, loro sberluccica dappertutto, la marcia trionfale è trionfalissima, i balletti del grand-opéra vedono sfrecciare corpi moderatamente bruniti, divinità notturne di cartapesta occupano anche la verticalità dello spazio.
Aida - Atto III
Ma... Ma nella profusione dellovvio zeffirelliano scorre una ricca vena di onestà: non ci sono ammodernamenti pretestuosi, né Aide in guepière, né tenori in rédingote, né politicizzazioni strumentali con americani in tuta mimetica e iracheni sbrindellati, né cori di fotoreporters. Anzi, dopo la orgasmatica frenesia accumulatoria dei primi due atti anche il registro allestitorio muta, in un progressiva semplificazione che lascia nel terzo atto libero e, staremmo per dire vuoto, campo alle voci, e dove, benché un po bloccati in fissità ottocentesche, i cantanti paiono dare il loro meglio (tranne forse Carlo Guelfi che disegna un Amonasro di vecchio trucido stampo).
Aida - Atto IV
Il quarto atto è decisamente felice, la regia mutua con discrezione qualche suggestione ronconiana nella bella verticalità della compresenza tra il mondo dei vivi (il tempio di Vulcano in cui Amneris, vestita a lutto pregherà per lanima di Radamès) e il mondo sotterraneo della tomba, già freddo oltretomba in cui Radamès e Aida compiranno la loro terrena tragedia. Ildiko Komlosi (Amneris), Violeta Urmana (Aida) e Walter Fraccaro (Radamès), nei vertici del triangolo amoroso, sono stati più che degni interpreti del loro ruolo (la progressiva maturazione nel corso degli atti di Ildiko Komlosi ci consegna una Amneris di riferimento). Una sala pienissima e palchi straripanti hanno siglato il rito.
Qualche piccolo contributo da teatro civile, intorno ad Aida: il bel volume dedicato allevento e la piccola, curata e fascinosa mostra allestita dalla Casa Ricordi al museo della Scala, diretto con passione da Renato Garavaglia.
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