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Ritorno a Genova 

di Laura Bevione
  Genova 01
Data di pubblicazione su web 07/04/2003  
Dei tragici fatti di Genova, che oscurarono la democrazia e assimilarono l'Italia a una dittatura del Sud America, molto si è discusso e molto si è documentato: film-inchiesta, documentari, libri. Eppure, la sensazione è che quel buco nero nella storia recente della nostra penisola - fra gli ultimi in ordine di tempo - rimarrà per sempre tale, iscritto d'ufficio nel lungo elenco dei casi archiviati e delle ingiustizie non riscattate. Il dramma di Paravidino, messo in scena dal giovane Filippo Dini, ha dunque il merito di riportare all'interesse del pubblico un evento che l'11 settembre e le successive guerre - Afghanistan e, ora, Iraq - hanno in qualche modo prosciugato di rilevanza.

Nato originariamente come brevissimo atto unico, scritto su commissione per il Royal Court di Londra, il testo ha assunto poi la veste formale di una tragedia classica, con prologo e cinque atti. Coerentemente a quella convenzione, in scena non accade nulla ma la cronaca degli accadimenti di Genova è semplicemente narrata dai tre attori in scena. La struttura classica, nondimeno, è spezzata dal ricorso alla proiezioni di immagini che rafforzano con volti, gesti e - purtroppo - sangue, le nude parole.



Genova 01
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Il ritmo stringato, poi, avvicina l'opera a quel teatro-documento, politicamente impegnato, diffuso qualche lontano decennio fa, in cui la precisa ed essenziale rievocazione dei fatti si nutriva dell'indignazione e della volontà di denuncia che motivavano il lavoro di autori, attori e registi, decisi a utilizzare la propria arte anche per intervenire concretamente nella realtà. Un tipo di teatro dall'accentuata emotività e da un rigore nell'impostazione e nell'esecuzione che ne garantivano l'efficacia e, tuttavia, segnato da un limite evidente. Il legame a doppio filo con l'attualità fa sì che oggi quegli spettacoli ci appaiano anacronistici e risultino, dunque, improponibili a un pubblico cui non sarebbero in grado di comunicare nulla. Un teatro insomma che nasce dalla contingenza e in essa si esaurisce, incapace - o forse non interessato - a farsi repertorio, da intendere nel senso positivo del termine, vale a dire deposito di testi che, per l'universalità dei sentimenti e delle situazioni descritte, sanno parlare agli spettatori di ogni epoca o quasi.

Lo spettacolo di Dini-Paravidino è stringente e ben documentato, coinvolto e coinvolgente, recitato con passione dai tre giovani ed emozionati interpreti, ma presenta proprio quel limite di cui dicevamo. Il pubblico, però, è attento e commosso e la bionda signora seduta davanti a me non esita a canticchiare mentre uno degli attori intona Bella ciao: alla fine, quella che davvero importa è proprio questa spontanea e non consueta partecipazione.



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