Nella magnifica cornice del Teatro all'Antica di Sabbioneta – unico superstite insieme all'Olimpico di Vicenza e al Farnese di Parma dei luoghi dello spettacolo del tardo Cinquecento – si è svolto il secondo degli otto appuntamenti del XII Festival Lodoviciano che, accanto alle consuete riproposte delle composizioni di Lodovico da Viadana (tanto preziose quanto doverose in una rassegna concertistica a lui dedicata), quest'anno privilegia un'ampia selezione di lavori confezionati nel secondo Settecento dai 'vicini di Mozart': Luchesi, Bertoni, Gazzaniga, Anfossi, Cimarosa, Salieri, Paisiello, Bianchi, Lidarti. In linea con un pensiero tutto postmoderno, volto alla riabilitazione dei cosiddetti 'minori', il direttore artistico del Festival, Giovanni Battista Columbro, ripesca nelle biblioteche italiane ed europee le partiture (da lui poi ritrascritte e dirette) di quegli operisti che, solo all'apparenza meri 'Carneadi', contribuirono alla costituzione di una koiné musicale tardosettecentesca la cui conoscenza è oggi indispensabile per un'autentica comprensione di Mozart. In questo modo, pur non presentando (caso isolato nel 2006) alcuna opera del genio salisburghese, il Festival Lodoviciano lo omaggia indagandone le radici e l'humus sul quale crebbe: riascoltare le modalità con cui Gazzaniga (1743-1818) intonò la morte del commendatore o l'elenco delle amanti di Don Giovanni sciorinato dal servo (qui Pasquariello il bravo Francesco Azzolini, voce potente e pulita nellemissione) o ancora il fatale invito a cena del 'convitato di pietra', ci permette d'individuare tra questa versione – su atto unico di Bertati, intrisa di langue 'napoletana' – e quella dapontemozartiana un filo rosso evidente a livello non solo del formulario d'accompagnamento orchestrale ma anche dell'invenzione melodico-armonica. Se agli appassionati del settore l'operina di Gazzaniga non era ignota (in quanto gratificata di una incisione discografica, come pure quella di Tritto e di Righini), del tutto inascoltate resatavano le pagine della serenata di Bertoni (1725-1813) La Galatea, raffinata espressione di quel virtuosismo canoro di fine '700 che annovera il maestro nativo di Salò, ma veneziano dadozione, tra i suoi padri fondatori.
Gli interpreti (Foto di Gianluigi Borelli)
Condensato il contenuto dei recitativi in una narrazione affidata ad un'attrice, gli interpreti si sono concentrati nella risoluzione delle insidie poste dall'ardua vocalità della partitura: il soprano Sandra Balducci nell'aria Questo cor nemmen per gioco ha sfoggiato note sovracute da far invidia alla Regina della notte, il mezzosoprano Luisa Mauro Partridge si è ben mossa nelle morbide fiorettature e nei passi d'agilità in origine riservati all'evirato cantore Pacchiarotti (celebre allievo di Bertoni) e il tenore Matteo Zenatti ha dominato il canto di sbalzo e le ubique colorature della sua parte, sopperendo all'esilità di voce con una verve attoriale trabordante (non dimentichiamoci che il tenore del '700 era un registro ambiguo, ora baritonaleggiante ora lanciato verso gli acuti da prendere in falsetto; né che gli interpreti del tempo venivano apprezzati quasi più per le loro doti d'attore che per quelle canore). Ottima la direzione di Columbro che poteva contare su uno straordinario primo violino (Maurizio Cadossi) e su impeccabili archi e fiati (tutti rigorosamente originali con diapason a 430 Hz; eccellenti i cornisti).
Festival Lodoviciano
Il fatto che una simile operazione di archeologia culturale abbia ricevuto la targa d'argento dal Presidente della Repubblica è un segnale positivo che conferma la necessità di tornare a fruire di un patrimonio sommerso, troppo spesso misconosciuto e sempre considerato come pasto per topi di biblioteca. Dunque onore al merito e al coraggio delle riscoperte del Festival Lodoviciano che si prolungherà in ottobre e novembre.
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