Quel pomeriggio di un giorno da monchi
di Roberto Fedi
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Data di pubblicazione su web 02/10/2006 |
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Uno a volte si dice: ma lo faranno apposta? Oppure il Caso, che regola le umane cose e quindi anche quelle televisive, è veramente il signore dei destini? Sia come sia, il pomeriggio di domenica 1 ottobre è da ricordare.
Vediamo perché. In un momento di distrazione (stavamo lavorando) accendiamo Rai Uno. Domenica In, come è noto. Bene: cè un sacco di gente (politici: riconosciuti Capezzone e la Gardini), intellettuali (Stefano Zecchi), gente varia e senza storia. Giletti fa il moderatore. Discussione animata. Lì per lì non riusciamo a capire su cosa: la Finanziaria? le adozioni dei bambini bielorussi? la violenza sulle donne? No. Sulla decadenza del reality.
Cavolo. È un problemino da niente. Ci vuole davvero un dibattito, magari una Commissione parlamentare. Insomma il nodo, centrale come capite nella vita del Paese, è che i reality sono per così dire amputati. In altre parole: hanno perso laudience. I telespettatori hanno tagliato, cattivi, lo share. La Parietti, sempre più nemica di se stessa urlava in collegamento che lei i dodici del West li ama, che è sincera, e cose così. Chi se ne frega, scusi, signora? (pardon: ma quando una se lo va a cercare).
Pensosi sui destini crudeli del reality (problema nazionale, ripetiamo), scivoliamo col dito sul tasto numero 5: Buona domenica. E lì vediamo una signora in carne, bionda e mal pettinata, viso grassoccio, che discetta con la conduttrice sul carattere nazionale degli americani e degli italiani. Beh, finalmente una cosa seria, pensiamo. Sarà una sociologa, magari. Parla in inglese, e scorre la traduzione. Si resta un po sbigottiti: forse non abbiamo capito bene. Guardiamo i sottotitoli: no, sera capito. È, la bionda, tale signora Lorena Bobbit, di cui nessuno si ricorda naturalmente, ma che assurse a gloria mondiale anni fa per avere, durante il sonno, tagliato col coltello il pisello al marito. Nientemeno.
Inorriditi, ci facciamo un caffè, mentre ci chiediamo che diavolo possa insegnare costei a chicchessia (speriamo nulla). Unocchiata alle partite di calcio, tanto per riprenderci, e pigiamo durante la pubblicità ancora il 5. Ecco il faccione di Costanzo che intervista qualcuno, con le dita nel naso più o meno come al solito, sudato più del solito, e insolitamente imbarazzato. Chi è costui? Stacco di inquadratura e ci restiamo secchi.
Il re. Cioè, pardon: lerede. Vogliamo dire, quello là, insomma come si chiama: il principe di Savoia, Vittorio Emanuele, Con la moglie, talmente rifatta che quasi non riesce a parlare. Un colpo, ragazzi. Allibiti, neanche riusciamo a sentire quello che dice, mentre bofonchia tranquillo le sue scuse ai sardi e si proclama innocente fra gli applausi.
Fuga dalla televisione. Abbiamo bisogno di qualcosa di forte, sul serio. Poi, ripresi, riflettiamo. Dunque: i primi hanno perso lo share. Questo qua ha perso il regno. Quellaltro ha perso il pisello. Tutti insieme contemporaneamente in Tv.
Un pomeriggio di un giorno da monchi.
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