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I torbidi desideri di un misogino 

di Carmelo Alberti
  la scuola delle mogli - Giulio Bosetti
Data di pubblicazione su web 20/04/2003  
Dal Teatro Eden di Treviso prende il via un nuovo allestimento della Scuola delle mogli di Molière, curato da Jacques Lassalle. L'efficace traduzione, approntata per l'occasione dal poeta Giovanni Raboni, si snoda attraverso una incalzante successione di endecasillabi e settenari, con l'intento consapevole di tenere desta la ritmicità del verseggiare francese, nel rispetto del respiro della parola molièriana. Di fatto, la combinazione metrica definisce un ritmo che oscilla tra i toni lirici, l'enfasi dei discorsi morali e la lievità di una vicenda paradossale.

Il progetto di regia messo a punto da Lassalle tende a forzare l'indagine preliminare sui motivi che spingono il misogino Arnolfo ad impadronirsi di una bimba pura e innocente. Il regista, già direttore della Comédie Française, s'interroga sulle reali motivazioni del comportamento del protagonista, che sembra celare nella zona più recondita dell'animo, una tendenza alla perversione, all'immoralità, sotto il mantello di un'etica astiosa, visto che continua a coltivare il desiderio di possedere una fanciulla incontaminata. La coscienza di Arnolfo, dunque, si dibatte fra un livello di perbenismo borghese e un nefasto peccato segreto, e inevitabilmente s'accende dinanzi alle osservazioni del bonario Crisaldo. Da qui deriva la necessità di dare al personaggio del misogino un'espressività mutevole, di farlo ragionare tra sé, di presentarlo distaccato dagli impegni quotidiani: le sue parole risuonano profonde e cupe, il suo comportamento risulta doppio e ambiguo, il suo umore è instabile e tendente all'ira.

Mentre l'impianto della commedia scivola rapidamente verso il dramma, persino le figure dei servi, nonostante la loro istintiva naturalezza e la gaiezza delle loro pratiche amorose, sono riassorbite entro la logica di un'insana passionalità. L'ambientazione, che richiama il mitico allestimento di Louis Jouvet del 1936, accentua il contrasto dentro/fuori, interiorità/rispettabilità, tanto che la casa-prigione nella quale è racchiusa Agnese somiglia ad una fortezza che solo l'amore riesce a violare.

Lassalle chiede, come di consueto, agli attori una recitazione dilatata, in grado di evidenziare le tortuosità dell'animo: ciò impone un contenimento del riso, che lascia il posto ad un parlato attonito e sospeso, a discapito della brillante fluidità con cui si è soliti affrontare le pièce di Molière, a beneficio della sedimentazione progressiva di sensazioni frammentarie, di gesti inconsapevoli, di atteggiamenti oscuri.

L'esperto Giulio Bosetti elabora un Arnolfo inconsueto, accompagnato lungo il confine dell'amarezza e del dolore: negli assolo l'attore libera la complessità del ragionare di un solitario che, barricato nelle proprie certezze, è ossessionato dal timore di diventare ridicolo; alla fine, mentre per effetto dell'aggiustamento conclusivo si scioglie l'intricato nodo di una serenità collettiva, solamente Arnolfo è costretto ad andarsene, lasciandosi alla spalle la scia di una folle risata.

Risultano apprezzabili anche gli altri interpreti: Sandra Franzo matura a gradi una vocazione tragica, sperimentata nel ruolo di una Agnese infelice che impara a riscattarsi dall'abbrutimento dell'ignoranza tra le braccia dell'amato; Giorgio Bertan rende bene, con giusta misura, la figura di Crisaldo, raggelandolo nella sfera di un'astratta saggezza; Enrico Bonavera definisce abilmente i tratti di un servo guizzante e insieme impaurito, accanto a Elena Ferrari, la sua corrispettiva femminile; Emiliano Iovine recita con energia l'innamorato Orazio; danno voce alle altre presenze, prestando attenzione a non scadere nel caricaturale, Franco Passatore e Attilio Cucari.



La scuola delle mogli
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Giulio Bosetti
Giulio Bosetti



 
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