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Storie e domande senza risposta

Gherardo Vitali-Rosati
  Yoshi Oida
Data di pubblicazione su web 11/09/2006  

Dopo un anno di chiusura per lavori, le «Bouffes du Nord» riaprono al pubblico. Il teatro di Peter Brook presenta un aspetto poco più stabile rispetto a due anni fa: nessun tocco a soffitto e pareti, l’unica modifica evidente consiste nella sostituzione delle poltrone della platea con nuove e comode panche bianche. I colori scuri dell’architettura contrastano adesso con questa chiara mezzaluna che richiude lo spazio circolare dove si svolge l’azione teatrale.

Ad inaugurare la restaurata sala sono due monologhi presentati da Yoshi Oida e Maurice Benichou, attori nella compagnia di Brook fin dai suoi primissimi esordi parigini. Prima di lasciar iniziare la rappresentazione Micheline Rozan ha accolto il pubblico con un breve discorso introduttivo; la codirettrice del teatro ha parlato di ciò che è stato fatto senza nascondere ciò che non si è potuto fare, come ridurre il rumore del sempre più trafficato boulevard antistante il teatro. Il primo spettacolo è una creazione di Yoshi Oida, che ha voluto presentare al pubblico un viaggio nel mondo zen. Il valore simbolico del suo intervento al Bouffes du Nord è probabilmente assai più significativo rispetto al suo valore estetico. Quando il giovane attore arrivò a Parigi, nel 1968, fu infatti perché Brook aveva bisogno di un attore giapponese, unico angolo del mondo non ancora rappresentato nel suo nascente gruppo internazionale. 
 
L’attore ha già raccontato nel suo libro L’Attore fluttuante (Roma, Edizioni Riuniti, 1993) lo shock culturale prodotto dal suo trasferimento in occidente, facendo comprendere le profonde differenze culturali che separano Francia e Giappone. Si tratta non solo delle ben note divergenze tradizionali, ma più concretamente di un modo di pensare e di vivere assai diverso. Per questo la presenza di Oida nel Centro Internazionale di Ricerca Teatrale ha potuto apportare un forte contributo all’esperienze di Brook, ma dall’altro canto ha costituito un passo sconvolgente nella vita dell’attore giapponese.



 

Dopo più di trent’anni in cui la presenza di più culture è un ingrediente implicito negli spettacoli del Bouffes du Nord, il mondo zen diviene protagonista assoluto nella rappresentazione di apertura della nuova stagione. L’attore aveva raccontato nel suo libro la sua tarda scoperta della religione giapponese: arrivando in Europa aveva sentito il bisogno di consolidare le proprie radici, esperienza d’altra parte comune a molti artisti espatriati dall’oriente, come il premio nobel per la letteratura Gao Xingjian. Lo scrittore ha infatti riscoperto e approfondito la cultura cinese al suo arrivo in Francia, mentre a Pechino si interessava soprattutto alle nuove frontiere del teatro occidentale. Dal canto suo Oida, ha persino interrotto provvisoriamente la sua carriera per ritirarsi in un tempio in Giappone dove è restato a studiare la religione. 

Interrogations è uno spettacolo fatto di domande senza risposta, di aneddoti, di musica. Certo è che l’inizio è assai diretto: l’attore si rivolge ad uno spettatore e chiede “qual è il senso della vita?”, e poi racconta una storia, il musicista Dieter Trüstedt lo accompagna. Altre domande sono meno universali e più stimolanti, spesso seguite da un’animata discussione del pubblico. “Una mucca entra da una finestra: passa la testa, passano le zampe; perché la coda non passa?”. Molti cercano di dare risposte, il clima si riscalda e si anima, spesso si replica con altre domande “e perché una mucca dovrebbe passare da una finestra?”.

 
Si tratta sempre di domande senza risposta, rivolte direttamente al pubblico. Non si può parlare propriamente di uno spettacolo teatrale, Yoshi Oida abbandona spesso il suo personaggio di Maestro Zen per ridere di lui e ritrovarsi nella stessa posizione degli spettatori. È piuttosto un interessante dialogo, con storie affascinanti, spesso conosciute grazie alle numerose infiltrazioni della cultura zen nel mondo occidentale. E’ il caso dell’uomo saggio che si astiene sempre dal dare giudizi sulla propria condizione conscio dell’imperscrutabilità del destino umano: quando riceve in dono un cavallo dice “non so se sia bene o male”, mentre i vicini festeggiano per il lieto avvenimento. Ma anche quando suo figlio cade dal cavallo rompendosi una gamba, se gli amici piangono per la sciagura, lui resta piuttosto scettico e risponde di non sapere se sia un male oppure no. Come pure non vuole dar giudizi quando scoppia la guerra e il figlio invalido è esonerato dal reclutamento…



 

Tutte le storie restano incompiute, si tratta appunto di Interrogazioni, volte a stimolare una riflessione che non potrà mai concludersi. L’interesse dello spettacolo è un incontro diretto con una cultura lontana, che a volte genera spaesamento. E l’unione del pubblico, che si ritrova legato dall’impresa impossibile di trovare una risposta alle costanti questioni poste dal Maestro. Si tratta di un’ora piacevole, senza reali pretese artistiche, che inaugura in maniera delicata e leggera una uova stagione teatrale sotto l’egida di Peter Brook.


Lettere da Parigi
Interrogations

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