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Rotture e ricomposizioni

di Marco Luceri
 
Data di pubblicazione su web 08/09/2006  
E’ stato uno dei migliori film visti quest’anno in concorso alla Mostra di Venezia Proprietà privata, secondo lungometraggio del giovane regista belga Joachim Lafosse (il suo primo film, Folie privée era stato presentato nel 2004 al festival di Locarno).

La storia è quella di un gruppo di famiglia in un interno: una donna (Isabelle Huppert) vive da sola con i suoi due figli adolescenti (Jérémie e Yannick Renier) in una vecchia fattoria restaurata; sebbene sia divorziata da molti anni, litiga continuamente con il suo ex marito, spesso sotto gli occhi dei figli, due giovani troppo cresciuti ma incapaci di badare a se stessi. Anche se il rapporto tra i tre è molto stretto, la scelta della madre di vendere la casa per aprire con il suo amante un albergo scatena l’opposizione dei due gemelli; sopraffatta dalla loro violenta reazione e lasciata sola nello scontro con loro, la donna, smarrita e in preda ad una sorta di impulso di sopravvivenza, decide di abbandonare i due e la casa. In sua assenza la violenza tra i fratelli esplode, fino al drammatico finale.

Film sulla tragica realtà dei conflitti che esplodono nella famiglia contemporanea, segnati dalla violenza e dalle incomprensioni, Proprietà privata parla in maniera dura delle colpe dei genitori che ricadono, come in uno specchio, sulle vite dei figli. Il conflitto generazionale (tema caro al cinema dei fratelli Dardenne, da cui Lafosse sembra essere influenzato) è al centro di una narrazione che procede, appunto, per false contrapposizioni. Infatti più i personaggi cercano di autodeterminarsi, di trovare una propria vita d’uscita alla soffocante stasi quotidiana, più si acuiscono i conflitti tra loro, e più cresce paradossalmente il loro bisogno dell’altro, in forma di amore, sia esso proiettato all’interno (la famiglia) o all’esterno (gli amanti e le fidanzate).

Lafosse costruisce così con sapienza il quadro di una famiglia che vive costantemente in un recinto chiuso, molto simile alla casa dove i suoi componenti abitano, quasi per tutto il film l’unico spazio scenico dell’azione. La violenza è l’unica forma di rapporto presente, laddove la rivalità tra i due gemelli altro non è che la conseguenza della rivalità irrisolta dei genitori. Ma come ha commentato lo stesso regista, "il film, sebbene descriva il disfacimento di una cellula familiare, non vuole comunque finire con la constatazione di una rottura irrimediabile e al di là della sua dimensione distruttrice, la violenza che i personaggi si trovano ad affrontare permetterà loro di prendere coscienza dei legami che li uniscono". Di grande effetto, a tal proposito, è la scena finale, in cui il padre e la madre si ritrovano a raccogliere i cocci del tavolino rotto dai figli durante una colluttazione, aprendo allegoricamente il film ad una possibile "ricomposizione": la famiglia non più come prigione, ma come un luogo aperto alla circolazione e al movimento.

Proprietà privata si avvale, come un vero e proprio fiore all’occhiello, dell’ennesima memorabile prova di Isabelle Huppert; la celebre attrice francese rifugge dall’interpretazione di maniera per concentrarsi nella resa del difficile ruolo di una donna che vive in maniera contrastante il suo essere madre; la Huppert alterna agli algidi, ma profondissimi silenzi, tremende espressioni di violenza, riuscendo a creare con efficacia vere e proprie alterazioni della sua maschera-volto, cioè il tratto immediatamente identificabile del suo stile di recitazione. In tal modo riesce a rinnovare continuamente, da film a film, da autore ad autore, il poliedrico campionario della sua straordinaria tipologia femminile, forse l’immagine attoriale della donna più oscura e profonda del cinema contemporaneo.




Proprietà privata
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