Un grande ritorno quello del regista malesiano Tsai Ming-Liang alla Mostra: per chi aveva storto il naso guardando il bizzarro e un po vacuo Il gusto dell'anguria (2005) è stato piacevole riscoprire le atmosfere del bellissimo Goodbye, Dragon Inn (2003). Infatti il nuovo film I dont want to sleep alone è un concentrato affascinante e sfuggente delle migliori atmosfere create dallautore orientale, poeta visivo degli spazi, degli ambienti e delle labili figure umane che li attraversano.
Se nel film del 2003 lo spazio scenico era composto dagli ambienti bui e silenziosi di un vecchio cinema della periferia di unanonima megalopoli orientale, simbolico e spettrale vagone abbandonato di un Cinema fatto di memorie lontane, in I dont want to sleep alone (il primo film girato in patria da Tsai Ming-Liang, dopo una filmografia interamente cinese) protagonisti sono gli enormi palazzi costruiti durante il boom economico (che investì il paese negli anni Novanta), ma lasciati incompiuti a causa della sopravvenuta crisi economica.
I Don't Want to Sleep Alone
Questi edifici, che appaiono stregati nella vuota imponenza dei loro interni, prendono nel film la fisionomia di una sorta di teatro dopera post-moderno, con al centro unenorme pozza di acqua sporca, che piogge e alluvioni hanno creato quasi per magia: come ne Il flauto magico di Mozart una corte anonima fatta di moderni principi, principesse e spiriti fantasmatici ricrea in questa giungla di cemento il suo eterno palcoscenico.
Come quasi sempre accade nei film di Tsai Ming-Liang i personaggi infatti non hanno la statura di figure ben definite perché le molteplici tracce narrative sono talmente esili da sembrare inesistenti, aeree, leggerissime. Chi sono allora gli uomini e le donne che si muovono in questo lugubre e straniante non-luogo della modernità? Ombre, solo fantasmi di unumanità in cerca di se stessa e della propria identità smarrita. In questo senso la ricerca del locus, dello spazio, corrisponde al cammino verso la ridefinizione di uno status umano che rifugge sempre dalla parola. I dialoghi nel film sono ridotti allosso, contano solo le azioni (poche) e gli sguardi (intensi e innumerevoli).
I Don't Want to Sleep Alone
E chiaro allora che anche I dont want to sleep alone è espressione di un cinema della pura visibilità, in cui la macchina da presa di Tsai Ming-Liang disegna ampie geometrie della precarietà, delloscurità, della non-identificazione. In questo senso il suo cinema si fa veicolo di una coscienza, quella di essere probabilmente lunica ombra possibile di una realtà sfuggente e misteriosa, come le figure umane che deambulano in cerca di un posto nel mondo.
La rarefazione, il silenzio, i rumori incontrollati ed anonimi sembrano convergere tutti nel buco nero immaginario della pozza dacqua, dispensatrice della pioggia urbana che bagna incessantemente i corpi abbandonanti di questumanità splendida e sfuggente. Alla fine quando una fitta nebbia ricopre lintera città, con la sua umidità soffocante, tutto viene avvolto e tutto scompare: gli edifici, il materasso di una storia damore mancata, le figure, e tutto il resto. Non rimane che il bianco. Il bianco del nulla. Il bianco dello schermo privo di ombre. Il bianco del cinema mai compiuto. Il bianco della realtà misteriosa e silente.
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I Don't Want to Sleep Alone
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Tsai Ming-Liang
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