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La fabbrica di Celestini 

di Laura Bevione
  Ascanio Celesini
Data di pubblicazione su web 16/03/2003  
Raccontare storie per rievocare realtà e persone che appartengono a un passato oscuro e marginale, poco discusso quando era ancora presente e poi ignorato. Ma riscoprire quei mondi e quegli eventi - in questo caso la fabbrica, un luogo quasi mitico, un microcosmo regolato da leggi e consuetudini proprie e accettate come fossero una fatalità - vuol dire anche ricrearli, aggiungervi significati che il trascorrere del tempo ha inevitabilmente depositato su quei pallidi ricordi. Nella concreta trasposizione sul palcoscenico, questo richiede un linguaggio nuovo, in cui passato e presente possano compenetrarsi e generare senso.

Ascanio Celestini - romano, già autore e protagonista di Radio Clandestina, sull'eccidio delle Fosse Ardeatine - ha coniato per sé una lingua teatrale che, pur rifacendosi a stilemi propri della narrazione popolare, quali la ripetizione e la circolarità del racconto, possiede una propria originale riconoscibilità. Un ritmo quasi forsennato e monocorde, senza pause, in cui gli scarti dalla tonalità dominante vengono immediatamente risucchiati in essa. Un ritmo che è esso stesso drammaturgia, un contenitore per nulla flessibile e anzi assai rigido in cui le parole devono necessariamente deformarsi per trovare posto ma in cui acquistano un significato altro e più pieno.

In Fabbrica Celestini non inventa nulla, poiché il materiale che ne compone il testo è frutto di lunghe ricerche per l'Italia - alla Piaggio di Pontedera e a Marghera, nella comunità di Rubiera e alla Fiat - e nel corso dello spettacolo ascoltiamo alcune delle testimonianze raccolte dall'autore-attore. Ma episodi e leggende, personaggi e regole della vita in fabbrica raccolti in giro per l'Italia sono ricomposti in un'unica storia, quella che il protagonista Fausto - un capoforno che inizia a lavorare alla fine della seconda guerra mondiale - narra in una lunga lettera indirizzata alla madre.

È un lungo monologo in cui sono ripercorse quelle che Celestini indica come le tre età nella vita dell'istituzione-mondo fabbrica: quella della sua nascita e prima evoluzione, in cui i lavoratori erano quasi eroi autori di un'impresa che avrebbe portato grandi benefici all'umanità; poi quella dell'aristocrazia operaia, negli anni del primo dopoguerra e del fascismo quando la produzione di armi non distingueva fra fedeli al regime e comunisti; infine, l'età contemporanea, in cui le macchine hanno sostituito gli operai e dove rimangono solo quelli che la fabbrica stessa ha reso storpi e deformi.

La fabbrica di Celestini è la somma di tutte quelle che condizionarono e ancora condizionano la vita della penisola ma non solo, è anche qualcosa di più: è un catalizzatore di desideri e speranze, di convinzioni e bisogni, di sentimenti e di violenze. È ciò in cui può annullarsi un'intera esistenza, il lavoro che dà da vivere ovvero l'idea che conduce alla morte.

Fabbrica
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