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La vita a pieni polmoni
da Berlino


di Franco Sepe
  Glückliche Tage
Data di pubblicazione su web 29/08/2006  

A tre anni dalla sua anteprima basilense, Glückliche Tage (''Giorni felici''), diretto da Peter Brook e interpretato da Miriam Godschmidt, fa la sua ricomparsa – o forse è il caso di parlare di rinascita ? – presso il Renaissance-Theater di Berlino, sorta di teatro di nicchia ma con un cartellone ben composito. Le ragioni più appariscenti di questa ripresa sono l'occasione offerta dal centenario della nascita di Samuel Beckett, e il fatto che la pièce, cosa più unica che rara per Brook, è stata realizzata in lingua tedesca.

Ci si chiederà allora quali sono i tratti peculiari di questa messinscena, tenendo conto che l'ottantenne regista, londinese di nascita e parigino di adozione, ne aveva appena allestita una con sua moglie Natasha. Non vi è dubbio che anche in questa seconda prova, come è facile immaginare, la scelta dell'attrice sia stata determinante per il taglio da dare al personaggio. La Winnie interpretata dalla Goldschmidt possiede ampiamente quei tratti che sono propri della personalità dell'attrice. Primo fra tutti, quel vitalismo che viene dal profondo, a tratti carsico a tratti prorompente, ma tutt'altro che di maniera. E proprio a proposito dell'apparizione inattesa, siamo all'inizio degli anni Settanta, di quella sconosciuta ragazza di colore, minuta ma decisa, durante un training con gli attori dell'ensemble parigino, Brook rammentava che era bastato pochissimo perché tutti, indistintamente, incantati da quel naturale carisma, convenissero sull'assoluta necessità di far partecipe Miriam del gruppo.

Miriam Goldschmidt
Miriam Goldschmidt

 

Di Winnie se ne sono viste sfilare tantissime, da quell'anteprima newyorkese del 1961, sui palcoscenici di tutto il mondo. Ma quella a cui dà vita la Goldschmidt non ha nulla della donnicciola dai gesti quotidiani che contrastano con la sua espressione metafisica; non ha nulla della sciatteria trasandata di chi finge i modi di un ceto che gli stà sopra ben più di qualche gradino; né tantomeno ostenta la cupezza che nasce dalla visione cinica di un'esistenza ai margini del sociale. Innanzitutto, la felicità che traspare dal volto di questa nostra Winnie è tutt'altro che paradossale. In essa c'è la riconoscenza dell'uomo prossimo alla vecchiaia nei confronti della vita, il suo respirarla a pieni polmoni, il goderne con diletto l'infinità di ogni suo segmento, l'assoluta determinatezza nel non lasciarsi sgominare dal senso di vuoto o dall'angoscia della fine. E' proprio questo che traspare fin dalle prime battute, quelle che preconizzano la santità del giorno, di quel giorno particolare la cui grazia però è estendibile, per contiguità naturale, a tutti gli altri che seguiranno. Battute pronunciate anche con gli occhi, quegli occhi grandi e mobili, capaci di catalizzare e trasmettere l'energia del gesto – soprattutto quando, nel secondo atto, lo sprofondamento del busto fino al collo avrà impedito a Winnie ogni suo ulteriore articolarsi. E intanto la voce, davvero possente per un corpo tanto esile, senza che ce ne avvediamo ci ha già calamitato nel suo flusso, ci tiene sospesi nelle pause come in attesa di un prodigio, si va a tratti assottigliando nei richiami amorosi a Willie, fino a farsi sciocca e infantile nell'imitazione del dialogo dei due passanti. Per poi talvolta incupirsi, nei rari, fulminei squarci riflessivi, dove la vita si mostra meno lieta e le minuzie che la rallegrano rischiano grosso sotto la minaccia dei concetti. Così che alla fine apparirà inevitabile – è il copione d'altronde a richiederlo –  la scivolata verso il tono disperato, quando risulterà vano ogni sforzo di Willie (un Wolfgang Kroke laconico e nasale, duro d'orecchi ma fieramente cocciuto), a risalire le poche spanne che lo separano tragicamente da Winnie.

La scenografia dell'ormai fido Abdou Ouologuem trasforma il cumulo di terriccio in una sorta di ampia veste tendente al marrone, collage di resti di stoffa e stracci,  su un fondale intonato a quella tinta. Per cui l'abito (ciò che si ha, ciò che si possiede in prima istanza), osmosi quotidiana tra il corpo e la civiltà nella quale è immerso, viene a sostituirsi, tramite questo suo prolungamento, alla terra quale elemento primigenio, tramutandosi così in metafora culturale ed esistenziale.

Lettere da Berlino
Glückliche Tage-Giorni felici

cast cast & credits
 


Miriam Goldschmidt e Wolfgang Kroke
Miriam Goldschmidt e Wolfgang Kroke

 

 


Miriam Goldschmidt
Miriam Goldschmidt




 


Wolfgang Kroke
Wolfgang Kroke


 
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