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L'insostenibile leggerezza

di Riccardo Castellacci
  The White Diamond
Data di pubblicazione su web 18/06/2006  
È uscito nelle sale italiane quasi inaspettatamente, per merito della distribuzione Fandango, Il diamante bianco (The White Diamond) di Werner Herzog. Il film è del 2004 e precede Grizzly Man, proiettato al Torino Film Festival 2005, e Deep Blue Yonder, l’ultima opera già presentata in anteprima alla Mostra del cinema di Venezia. Il diamante bianco anticipa alcune soluzioni dei film successivi e mostra ancora una volta come la cinematografia di Herzog sia capace di perseguire, su una linea di grande coerenza, un’idea di cinema che non appare cedere a nessun tipo di compromesso. Il regista bavarese è una figura anomala nel panorama internazionale, capace di restituire una visione che è allo stesso tempo del mondo e del cinema.

Un ingegnere aeronautico inglese Graham Dorrington riesce a realizzare un dirigibile con il quale ha intenzione di sorvolare la foresta pluviale amazzonica del Kaieteur nella Guyana. Herzog segue il progetto dalla fase della sua ideazione nel laboratorio inglese, fino al viaggio nella foresta vergine che circonda le imponenti cascate del Kaieteur.

L’aeroplano è stato, insieme al cinema, uno dei mezzi di cui l’uomo si è servito per esplorare il mondo, renderlo più accessibile, e allo stesso tempo ampliare il suo immaginario. Le immagini iniziali ripropongono filmati d’epoca sui primi pionieri del cielo, con i loro curiosi aeromobili. Il dirigibile conobbe un notevole successo durante gli anni trenta come mezzo per trasporto passeggeri; tuttavia il suo utilizzo su ampia scala si arrestò dopo il celebre disastro dell’Hindenburg, che decretò la fine della compagnia Zeppelin. Anche dietro al piccolo dirigibile bianco del film, chiamato the white diamond, si cela una tragedia: dodici anni prima in una spedizione simile, sopra un aerostato monoposto progettato da Dorrington, aveva trovato la morte il documentarista Dieter Plage.

La storia del dirigibile e del suo progettista si trova sospesa fra leggerezza e pesantezza: fra la vaporosa levità del dirigibile e il fardello del passato che grava sul senso di colpa di Graham, il quale si sente ancora responsabile della morte dell’amico documentarista, per averlo coinvolto nel suo progetto, nel sogno di volare.

Mark Anthony Yhap
Mark Anthony Yhap
 
Il viaggio in dirigibile e lo scontro con le difficoltà tecniche è solo una delle storie che Herzog racconta nel suo film: altre sono la rielaborazione della morte da parte dell’ingegnere, la scoperta di un luogo naturale carico di misteri, l’incontro con alcuni abitanti del luogo, in particolare un rastafari, Mark Antony Yhap, il quale vorrebbe ritrovare la madre che si trova in Spagna.

Il film è allo stesso tempo un documentario, con elementi frutto del caso e dell’improvvisazione, e un racconto svolto attraverso un’abile scrittura drammaturgica. Il documentario tende a diventare finzione, fiction, e la finzione a mescolarsi al documentario.

In questo film come nei precedenti (e anche nei successivi) le storie sono ricavate direttamente dalle immagini, le quali traggono la loro forza espressiva dall’esperienza diretta e dalla relazione fra ambiente e protagonisti. Lo sviluppo narrativo non è dato da una storia intesa come la riproduzione di modelli narrativi o figurativi, ma dalla produzione di un evento di cui la macchina da presa è testimone. Così cade la distinzione fra documentario e finzione, che diventa irrilevante.

Herzog filma le cascate e la foresta pluviale, i volti dei ricercatori e degli abitanti del luogo e, senza operare nessuna falsificazione, riesce a realizzare riprese che virano verso il fantastico. Da una parte ci fornisce immagini inedite di una regione poco esplorata a bordo di un mezzo inusuale, un silenzioso dirigibile bianco, dall’altro ci mostra questo stesso luogo attraverso il filtro di culture diverse, che pongono problemi su ciò che deve o non deve essere mostrato, sui termini del visibile (secondo un procedimento che era già utilizzato in Dove sognano le formiche verdi).

Nel documentario Herzog scopre storie di passioni e di tumulti interni: l’elaborazione del lutto da parte dell’ingegnere, la ricerca di Antony della propria madre per sfuggire al suo stato di “figlio perduto”. La scelta è sempre verso personaggi segnati da un trauma interno. La vicenda del documentarista Dieter Plage, di cui sono mostrate alcune immagini, sembra riproporre uno dei temi ricorrenti nel cinema di Herzog: la morte appare il prezzo da pagare per coloro che osano far vedere qualcosa di più. Chi supera il limite del visibile è costretto al fallimento e così accade anche in Grizzly Man.

Il viaggio del Diamante bianco permette al protagonista di ritrovare una forma di ricomposizione del proprio conflitto in particolare grazie all’incontro con la semplicità e la sapienza di Mark, che conduce lo stesso Herzog ad afferrare la visione delle cascate non dal cielo, bensì da terra, attraverso una goccia d’acqua. L’ingegnere e Mark si ritrovano a volare insieme: il primo è riuscito a vincere il peso del passato che gli impediva di volare, il suo senso di colpa, l’altro sembra tramite il volo e lo stesso documentario avere una possibilità per ricontattare la famiglia perduta.

«In celluloid we trust», afferma Herzog prima di salire sul dirigibile per il suo primo volo. Il regista si mette direttamente in scena e opta per un coinvolgimento diretto. La sua fiducia è riposta innanzi tutto nell’immagine e nel suo ruolo epifanico, capace di rivelare l’essenza delle cose. I momenti di intensa fascinazione figurativa permettono di ampliare gli orizzonti della visione. Questa forza delle immagini Herzog la trova nel rispetto del segreto che si cela di là da esse. Dietro la cascata, là dove posano i rondoni, c’è o ci potrebbe essere qualcosa che non deve essere rivelato; altrimenti una cultura che su quel segreto e su quel sogno si fonda andrebbe distrutta. Il visibile, sembra ricordarci ancora una volta Herzog, è condizionato e determinato anche da ciò che non si vede.





The White Diamond
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Werner Herzog
Werner Herzog

 
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