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Odissèe di profughi

di Gherardo Vitali Rosati
  Odyssées
Data di pubblicazione su web 17/01/2004  
Un Caravanserraglio non è solo luogo di ristoro e di riposo, ma in quanto luogo di incontro dei viaggiatori in Oriente, è lo scrigno dei loro racconti. Come Ulisse alla corte di Alcinoo, così tutti i viaggiatori ospiti di un caravanserraglio passano le serate a conoscersi, a raccontarsi le proprie vicende, possibilmente dopo aver mangiato qualcosa.

Lo spettacolo del Théâtre du Soleil, in questi mesi in scena alla Cartoucherie di Parigi, cerca di ricreare questa situazione, accogliendo il pubblico in una grande stanza dove viene offerto un piatto afghano: ci si può sedere attorno a dei grandi tavoli e lì far conoscenza con gli altri spettatori, contemplare l'enorme planisfero dipinto sulle pareti, leggere le scritte che viaggiatori veri hanno lasciato sui muri dei campi profughi che li hanno ospitati e che sono state opportunamente riportate.

In un angolo della sala si apre lo scorcio sugli altri locali del caravanserraglio: sono arredati di tutto punto con tappeti e cuscini, caffettiere e teiere, ma anche specchi e vestiti realmente usati dagli attori che in quegli spazi si preparano ad entrare in scena.

un'immagine dello spettacolo


Pian piano siamo invitati a prender posto in una terza sala adibita a teatro: noi torniamo spettatori e gli attori iniziano il loro lavoro. Ma le cose non cambiano molto: sul palcoscenico i viaggiatori recitano le loro storie, è anche questo un modo di raccontare. Molti dei fatti narrati sono reali, raccontati dai loro veri protagonisti agli attori che li interpretano. Dal maggio 2001 al febbraio 2002 trentun attori del Théâtre du Soleil hanno viaggiato nei campi profughi di Sangatte (Francia), Sydney (Australia) e Auckland (Nuova Zelanda), raccogliendo le testimonianze di quaranta profughi soprattutto afghani e iraniani, trascrivendo le loro storie e aiutandoli a risolvere i loro problemi: così alcuni di loro oggi lavorano al Théâtre du Soleil, altri hanno comunque ottenuto la cittadinanza francese, di altri ancora purtroppo si è persa ogni traccia.

Gli attori, che provengono a loro volta da 22 paesi diversi, sono il nucleo stabile della Cartoucherie: vivono al suo interno percependo uno stipendio mensile, seguono la creazione degli spettacoli in tutte le sue fasi anche se, a dispetto della locandina dove non è citato alcun regista, colei a cui spetta l'ultima parola è sempre Ariane Mnouchkine.

Per questo spettacolo sono state fatte 389 improvvisazioni che poi hanno dato vita a 43 scene ambientate nei paesi di partenza (Afghanistan, Iran, Russia, Mosca) e in quelli di arrivo (Francia, Inghilterra, Australia). Vengono così rappresentate, intrecciate fra loro, le odissèe dei vari personaggi, sempre accompagnate dai sottotitoli che, precisando i luoghi e le date dei fatti a cui si fa riferimento, ne ricordano la tragica attualità. Spesso gli attori parlano nelle loro lingue madri, opportunamente tradotte tramite scritte proiettate su vari pannelli: si crea così una nuova Babele dove i personaggi cercano, spesso invano, di capirsi. Si muovono su un terreno che rimane loro letteralmente distante: sono sempre separati da questo tramite tavole a rotelle che scorrono veloci sul palco, non posano mai i piedi per terra. Anche le scene sono ugualmente munite di ruote: ogni oggetto è effimero, sparisce con estrema rapidità. Le ruote permettono anche di muovere gli oggetti nel corso delle scene: si può così osservare l'ambulatorio medico da tutti i punti di vista poiché gira su sé stesso durante tutta la sua permanenza sul palco. Allo stesso modo girerà la casa dell'amore illecito in Iran, ma questa volta il suo movimento servirà a stornare gli sguardi curiosi del pubblico.

Oltre questi oggetti che caratterizzano ogni scena (in altre abbiamo una fermata dell'autobus, una cabina telefonica, una palma) il resto dello smisurato palco rimane disadorno, ma grazie ai curati effetti illuminotecnici è capace comunque di restringersi o di espandersi a seconda delle necessità. Ogni ambiente è poi caratterizzato dai suoi suoni, siano essi clacson, cellulari, spari, musiche occidentali od orientali sono sempre eseguiti da Jean Jacques Lemêtre che, attraversando per primo il palco, si reca in un balcone colmo di mandolini, chitarre, violini, tastiere e computers, suonandoli con estrema disinvoltura e capacità tecnica. Suoni spesso di grande impatto, come quelli del fiume in tempesta, delle sirene etc., che poi possono trasformarsi in melodie dolci e malinconiche.

Le storie dei vari personaggi riescono a scuoterci, a tenere sempre desta l'attenzione, allo stesso tempo ci fanno soffrire delle sciagure dei profughi e gioire di quell'energia travolgente che emana lo spettacolo. Il ritmo è sempre elevato: scene tragiche e comiche (per quanto possibile) sono alternate; dai morti ammazzati alla frontiera si passa ad una coloratissima spiaggia tropicale. Lo sguardo è imparziale: si compatiscono le pene dei rifugiati ma se ne condannano le colpe, quando ci sono; si racconta la buona volontà di una giovane infermiera e si raffronta con l'indolenza di un giornalista.

Attenta osservazione della realtà e perfezione rappresentativa si fanno una cosa sola: l'entusiasmo degli attori intervistatori dei personaggi reali si trasforma in quell'energia straordinaria a cui abbiamo già fatto cenno: si realizza così un'opera d'arte di doppio valore perché all'innegabile merito artistico si aggiunge quello sociale. Gli attori che rappresentano anche 7 personaggi a testa, a volte in lingue diverse, riescono a raggiungere una discreta profondità, cadendo solo di tanto in tanto in eccessive stilizzazioni. Nello stesso tempo conducono un'indagine seria e documentata sulla situazione dei rifugiati, cercando di dar loro un aiuto concreto (perché possano ottenere la cittadinanza) e passando al lavoro teatrale con la speranza che le sofferenze di intere popolazioni possano almeno esser servite ad evitarne altre nel futuro più prossimo.



Le dernier Caravansérail (Odyssées)
cast cast & credits
 


locandina



 
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