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Un popolo di Scandali, Maneggi e Intercettazioni

di Filippo Bologna
  Luciano Moggi
Data di pubblicazione su web 15/05/2006  

Il cda della Juventus si è dimesso travolto da uno scandalo di proporzioni che ahimè sono ed erano fin troppo immaginabili e che rischiano di far impallidire i noti fatti del calcio scommesse primi anni Ottanta. La triade Moggi-Giraudo-Bettega è in questi giorni il boccone più succulento da dare in pasto agli spettatori del circo mediatico. Carraro dopo essere stato lambito dall’onda lunga di uno tsunami calcistico che temo spazzerà via molti altri altri lidi prima di fermarsi, e davanti al quale ben pochi approdi sembrano al momento porti sicuri, ha rassegnato le dimissioni. Purtroppo il gesto di Carraro è ancora una volta la classica dimissione indotta/coatta all’italiana. Funziona così: ci si dimette solo un attimo prima che la nave coli a picco, quando ormai appare chiaro che la partita è persa e non c’è altra via di fuga. Ci siamo ormai tanto abituati in questo strano Paese alle dimissioni doverose, a furor di popolo, a quelle a richiesta invocate a gran voce dai giornali e dalle televisioni. Ci siamo tanto abituati che ci siamo quasi dimenticati. Dimenticati che le dimissioni sono un gesto spontaneo, un atto di volontà e non una risposta ad un pogrom mediatico che si placa solo con il sacrificio di qualche testa illustre. Berlusconi ha passato gli ultimi dieci anni della sua vita a inveire contro i giudici, contro le toghe rosse e la strumentalizzazione politica del nostro sistema giudiziario. A me pare invece che gli unici segnali di rinnovamento in questo stanco Paese arrivino proprio dalla magistratura, che deve farsi carico di un superlavoro non suo. Troppo spesso i giudici devono supplire alle manchevolezze di una politica incapace di rinnovare la sua classe dirigente (leggi Tangentopoli), che non sa esercitare il controllo sugli organi preposti al controllo (vedi lo scandalo Parmalat/Cirio e la totale inerzia della Consob), che non è in grado di tenere i palazzinari lontano dai Palazzi (segui le straordinarie avventure di Ricucci&iFurbettidelQuartierino). Insomma ci vogliono i giudici per far dimettere il Presidente della Banca D’Italia e per farlo scendere dal suo scranno divino su cui si riteneva deposto come un principe ereditario, ci vogliono i giudici per dimostrare quello che pensano tutti e che solo alcuni giornalisti coraggiosi dicono ormai da anni (andatevi a leggere Lucky Luciano. Intrighi maneggi e scandali del padrone del calcio Luciano Moggi un libro di Kaos edizioni vecchio di almeno di tre anni, o qualche strepitoso articolo di Roberto Saviano comparso in qualche blog sperduto nella rete). È come se ad un certo punto, quando il vaso è pieno da straboccare, tanto che il tanfo si inizia a sentire anche per strada, i giudici intercettassero un pensiero collettivo, e lo traducessero in inchiesta, lo incarnassero in avviso di garanzia. Il passo successivo – e necessario – è "lo scandalo"; e a quello ci pensano i media. Perché sono loro a far tremare le poltrone e i magistrati lo sanno bene, perché senza i giornalisti i magistrati da soli non ce la farebbero. È per questo che le intercettazioni finiscono sovente prima in redazione che in tribunale. E se l’unico strumento che esiste per fare un po’ di pulizia in Italia oggi sembrano essere le intercettazioni (nessuno è al sicuro finché c’è campo…), sia lodato il telefonino. Altro che privacy.







 
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