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Dentro l置omo, dentro il cinema

di Riccardo Castellacci
  Inside Man
Data di pubblicazione su web 10/04/2006  
Una banda di rapinatori travestiti da imbianchini entra in una banca, si chiude dentro e sequestra una ventina di persone. L’edificio è circondato e la polizia guidata dal detective Keith Frazier (Denzel Washington) cerca il modo per liberare gli ostaggi, che sono stati costretti a vestire delle tute del tutto simili a quelle indossate dai rapinatori. In una cassetta di sicurezza è assicurata la prova che accusa il proprietario della banca, Arthur Case (Christopher Plummer), di collaborazionismo con i nazisti. Per salvaguardare i propri interessi l’uomo si rivolgerà a una donna cinica e misteriosa Madeline White (Jodie Foster).

Clive Owen
Clive Owen
 
Il capo della banda, Dalton Russell, si rivolge direttamente allo spettatore, guarda in macchina e con calma e lentezza misurata ci dice: ォFate ben attenzione a quello che dico perché scelgo le mie parole con cura e non mi ripeto mai. Ho progettato e messo in atto un piano allo scopo di eseguire la rapina perfetta in una banca. Perché? Perché lo so fareサ.

Con questa frase e il primo piano di Clive Owen, prende avvio l’ultimo film di Spike Lee. Assistiamo nei primi minuti ad una vera e propria dichiarazione d’intenti, in cui le parole del rapinatore sembrano rappresentare il doppio di quelle del regista. Il discorso iniziale rivolto ad interpellare lo spettatore mette in evidenza gli elementi sui cui poggerà la storia del film, svelando fin dall’inizio i meccanismi che soggiacciono alla sua realizzazione.

Prima di tutto lo stile: parole scelte con cura, e un impianto formale visivo estremamente calibrato. Secondo il soggetto: la rapina perfetta, dunque un genere. Poi le regole necessarie allo svolgimento accurato e ordinato del tema con le domande cui l’azione deve rispondere: chi, dove, perché e, soprattutto, come. Proprio nell’ultimo elemento, il come, il rapinatore dice essere “l’inghippo”. Ed è proprio la realizzazione stilistica il centro stesso del film: come raccontare una storia già vista, seguendo un piano preciso e perfetto, all’interno di tempi misurati e controllati. La norma, quella della rapina, del film di genere, e l’estro: questo è il rapporto sottile su cui si fonda l’arte del film.

Spike Lee non si serve delle regole per infrangerle, ma le allarga e le deforma quasi impercettibilmente con il risultato di portare Inside man a derive per niente accomodanti o sicure. I temi cari al regista ci sono, ma sono dislocati su un piano diverso, in un processo di continuo depistaggio di prove e processi, in cui tutto finisce per non essere ciò che sembra.

È dunque necessario guardare con un certo distacco se non si vuole confondere le cose e appiattire l’intero film a un semplice thriller ben confezionato.

Ogni personaggio è altro da ciò che potrebbe apparire e nasconde un punto debole che lo espone al ricatto e alla menzogna. Anche lo stesso detective è in una posizione insicura, con del denaro sporco che grava sulla carriera e altre varie “brutte storie” del passato. Il proprietario della banca cela dietro alla sua aria di uomo devoto al bene pubblico il furto di denaro ad ebrei morti nei campi di concentramento e la collaborazione con esponenti nazisti. Anche il sindaco della città è un uomo abituato a tacere e insabbiare fatti e azioni criminosi, come evidenzia il suo legame con un personaggio di dubbia moralità al quale non riesce a sottrarsi, Miss. White. Gli stessi ostaggi non appaiono persone gradevoli: ognuno cerca il modo di apparire e sopravvivere. Fra questi un bambino passa tutto il tempo con un videogame (fra i più venduti), nel quale sono completamente rovesciati i termini del comportamento sociale: al gioco vince e si ottengono più punti commettendo reati, rubando macchine e facendo esplodere le teste dei nemici.

Christopher Plummer
Christopher Plummer
 
Il potere e il suo gioco trasforma fatti e personaggi. I protagonisti sono inseriti in una piramide gerarchica senza vertice, e devono dare conto del proprio operato e degli errori commessi. Il personaggio di Miss. White è il perno fra potere e loschi traffici, il funzionario che legato e coperto dalle alte gerarchie lavora all’interno del palazzo con scaltra abilità. Il suo personaggio (che ricorda quello di Mr. Wolf di Pulp Fiction) non ha remore morali di alcun genere (potrebbe lavorare anche per il nipote di Bin Laden): intesse legami con la politica (appare come consigliera del sindaco), muove le sue pedine sicura di essere protetta, poiché coloro per cui lavora diventano ricattabili nel momento in cui accettano il suo aiuto. Più volte Miss White ripete una citazione del barone Lionel Nathan De Rothschil secondo cui ォIl momento più adatto per comprare è quando scorre il sangue per le stradeサ. Anche il buon poliziotto non ne rifiuta l’appoggio per facilitare la sua promozione. L’interesse personale sembra prendere il sopravvento e alla fine è proprio il rapinatore a dare una lezione di moralità ai vari attori del dramma.

Il capo rapinatore finisce per far coincidere il proprio ruolo con quello del regista del film. Egli svolge azioni precise non allo scopo esclusivo di ottenere del denaro, ma per mettere in mostra la perfezione del meccanismo. Egli guida le mosse di tutti poiché ha già previsto le loro reazioni: è l’unico che conosce tutti gli elementi che gli altri possono solo intuire. È lui che, come un vero demiurgo, muove il motore dell’opera; è responsabile del disordine da cui prende avvio l’opera e della ricostruzione dell’ordine finale secondo nuove prospettive, più giuste, forse. E come il capo della banda guida i suoi avventori, così il regista guida i nostri sguardi come fossimo burattini. E lo fa attraverso una scelta di stile.

Denzel Washington e Spike Lee
Denzel Washington e Spike Lee sul set

Nell’ultima opera di Spike Lee troviamo tutte le figure retoriche che abbiamo visto nei suoi film e video precedenti, ma qui inserite pienamente all’interno della narrazione. Carrelli avanti e indietro lentissimi, punti di vista inusuali, accelerazioni improvvise e pause di montaggio, jump cut, macchina a mano: tutto un armamentario che dimostra la grande padronanza formale raggiunta dal regista. Flashback e flashforward sono le altre figure di cui Spike Lee si serve per mettere in scena la ricostruzione della rapina, cui lo spettatore assiste mediando il procedimento adottato dal detective con quello del racconto diretto degli eventi mostrati.

Alcune inquadrature sono fortemente marcate stilisticamente, in particolare quella in cui l’attore è ripreso frontalmente e mentre la mdp si avvicina al primo piano, lo sfondo, con un effetto contrario, sembra allontanarsi e perdere consistenza: questo accade sia per l’immagine iniziale e finale di Clive Owen, sia per Christopher Plummer seduto alla sua scrivania e circondato dal suo impero di facciata, sia in particolare per Denzel Washington, quando tutte le sue supposizioni sembrano franare e accorre alla notizia dell’uccisione di uno dei testimoni. È come assistere a un curioso scollamento fra protagonista e sfondo che ci riporta a ridimensionare le nostre idee sul personaggio e a riformularle secondo uno sguardo diverso. Con questo abbinamento carrello e zoom, Spike Lee sembra volere andare all’interno dell’uomo, inside man, appunto.

la 25ー ora rappresentava uno dei film più lucidi nell’affrontare direttamente il problema del post undici settembre. Alcuni elementi ormai parte del dna dell’America vengono affrontati anche in questo film e messi allo scoperto: in particolare riemerge la paura nei confronti di quella caratteristica costitutiva degli Stati Uniti, il melting pot, vera ricchezza dell’america, che ora sembra trasformarsi nell’incubo del diverso. I sequestratori sono creduti russi, poi albanesi a causa delle trasmissione di vecchie registrazioni del dittatore di Albania, Enver Hodja.

Spike Lee per questa volta costretto a venire a patti con la produzione non firma la sceneggiatura, ma trova proprio nella scrittura una base salda sui cui poggiare la sua ricerca stilistica e visiva, senza rinunciare ad affrontare il discorso sulla realtà statunitense e le sue contraddizioni. Un film che vive del mito del cinema (con il riferimento a Quel pomeriggio di un giorno da cani, uno dei film più amati dal regista) e che sfrutta le norme e confini del soggetto come potenzialità. Il film si sposta dai canoni propri del thriller a quelli di un genere vicino che ha rappresentato una forza inquietante per lo studio system: il noir, con il tema dell’ambiguità e doppiezza dei personaggi e del potere, linfa di Inside Man.

 


Inside Man
cast cast & credits
 

Jodie Foster
Jodie Foster


 
 
 
 
 
 

Denzel Washington
Denzel Washington

 
 
 
 
 
 
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